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La risonanza magnetica per identificare pazienti con miocardiopatia dilatativa a rischio di morte improvvisa

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Le linee guida europee sulla prevenzione della morte improvvisa, la cui ultima versione data 2015, non lasciano grande spazio alla risonanza magnetica, raccomandandone l’impiego (Classe IIa) nei casi in cui l’ecocardiogramma non fornisca un’adeguata valutazione della funzione ventricolare o dei cambiamenti strutturali del miocardio.

Questa indagine diagnostica ha però fornito in questi ultimi anni sempre più consistenti conferme sulla sua utilità nella stratificazione del rischio aritmico, in pazienti con differenti cardiopatie strutturali.

D’altra parte, le stesse linee guida raccomandano l’impianto di un defibrillatore impiantabile (ICD), in prevenzione primaria, nei pazienti sintomatici con scompenso cardiaco (Classe NYHA II-III) e frazione di eiezione del ventricolo sinistro ≤35%, dopo ≥ 3 mesi di terapia medica ottimale e con un’aspettativa di vita di almeno un anno (Classe Ia per eziologia ischemica; classe Ib per eziologia non ischemica). Sappiamo però che la maggior parte degli arresti cardiaci extraospedalieri si registrano in pazienti con una frazione di eiezione solo moderatamente depressa.

Arriva ora uno studio, pubblicato in questi giorni su Circulation, che ha valutato se la risonanza magnetica cardiaca con mezzo di contrasto sia in grado di identificare pazienti con miocardiopatia dilatativa, e con una frazione di eiezione maggiore o uguale al 40%, che possano beneficiare dell’impianto di un ICD in prevenzione primaria.

Dallo studio sono stati esclusi i pazienti con cardiopatia coronarica significativa (stenosi >50% in una coronaria maggiore). L’end point primario è stato un composito di morte improvvisa e morte improvvisa abortita.

I 399 pazienti studiati, che avevano una frazione di eiezione del ventricolo sinistro mediamente del 49.6%, sono stati seguiti nel corso di un follow-up mediano di 4,6 anni. Tra questi, l’end point primario è stato raggiunto nel 17,8% dei pazienti con indagine positiva al gadolinio e nel 2,3% di quelli con indagine negativa. L’8,9% dei pazienti con positività al gadolinio e il 2% dei negativi sono morti improvvisamente. I rapporti di rischio per differenti estensioni di positività al gadolinio (0-2.5%, 2.5-5%, >5%) sono stati piuttosto variabili (10,6; 4,9; 11,8 rispettivamente).

Questo studio dimostra quindi, in modo particolarmente significativo, come tra i pazienti con miocardiopatia dilatativa, e con una frazione di eiezione solo lievemente o moderatamente depressa, vi sia un gruppo di soggetti con alterazioni strutturali miocardiche, rivelabili alla risonanza magnetica con gadolinio, a più alto rischio di morte improvvisa. Sembra pertanto che il fattore prognostico più importante non sia la funzione ventricolare, ma la presenza di un substrato aritmogeno efficiente, in grado di indurre aritmie ventricolari pericolose per la vita.

Questi risultati non solo contribuiscono a rivalutare l’utilità della risonanza magnetica, pur con tutte le sue limitazioni, nella stratificazione del rischio aritmico, ma pongono seriamente in questione gli attuali limiti e metodi per l’indicazione all’impianto di un ICD.

 

Franco Folino

 

Circulation: 135 (14)

 

Halliday BP, et al. Association Between Mid-Wall Late Gadolinium Enhancement and Sudden Cardiac Death in Patients with Dilated Cardiomyopathy and Mild and Moderate Left Ventricular Systolic Dysfunction. Circulation 2017, Published online.

 

 

 

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