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Nel corso degli anni si è ridotto il rischio di morte improvvisa nei pazienti con scompenso cardiaco

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La morte improvvisa è uno dei più temuti esiti dello scompenso cardiaco, in particolare nei pazienti con valori particolarmente ridotti di frazione di eiezione.

La terapia più efficace per prevenirla è l’impianto di un defibrillatore (ICD), che si è dimostrato in grado di influenzare positivamente la sopravvivenza dei pazienti. Le linee guida della Società Europea di Cardiologia per lo scompenso cardiaco raccomandano, nel documento pubblicato lo scorso anno, l’impianto del dispositivo in prevenzione primaria, nei pazienti sintomatici (Classe NYHA II-III) con una frazione di eiezione ≤35%, nonostante una terapia medica ottimale, che presentino una cardiopatia ischemica o una cardiomiopatia dilatativa.

Estratto parziale, limitato alle indicazioni in classe I, da: 2016 ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure.

D’altra parte, esistono già dati clinici derivati da follow-up a lungo termine che dimostrano come in questi pazienti il rischio di morte improvvisa si sia ridotto nel corso degli anni, tanto da mettere in discussione l’indicazione all’impianto dell’ICD.

Un articolo pubblicato lo scorso 6 luglio sul New England Journal of Medicine, ha voluto approfondire quest’ aspetto, valutando l’andamento del rischio di morte improvvisa nel tempo in pazienti con scompenso cardiaco sintomatico e frazione di eiezione ridotta.

Per questo sono stati analizzati 40.195 pazienti derivati da 12 trial clinici, svolti in un periodo di venti anni. Di questi pazienti, 3.583 (8.9%) sono deceduti per morte improvvisa.

A 90 giorni dalla randomizzazione, l’incidenza cumulativa di morte improvvisa è passata dal 2.4% nello studio RALES (inizio nel 1995) all’1.0% nello studio PARADIGM-HF (inizio nel 2009).

Tutti i trial considerati nell’analisi hanno evidenziato in generale un’incidenza di morte improvvisa a 180 giorni dalla randomizzazione che era circa il doppio di quella a 90 giorni, con una tendenza a valori più bassi nei trial più recenti.

Anche dividendo i pazienti in base ai valori di frazione di eiezione, si è visto come gli studi che si sono svolti in anni più recenti, presentavano una minore incidenza di morte improvvisa, qualsiasi fosse il livello di frazione di eiezione.

Quanto emerge da questo studio sembra quindi evidenziare come nel corso degli anni la terapia medica per lo scompenso cardiaco abbia offerto ai pazienti livelli sempre maggiori di protezione, non solo nei confronti della mortalità complessiva ma anche nei riguardi della morte improvvisa. I progressi hanno riguardato non solo l’impiego di nuove molecole, ma anche un miglior utilizzo di farmaci già esistenti, con incrementi posologici mirati a target terapeutici individualizzati per lo specifico paziente. Target che però troppo spesso non sono raggiunti (vedi articolo su questo argomento in altra parte del giornale).

In questi termini, anche le indicazioni all’impianto di un ICD potrebbero cambiare, portando ad un impiego più restrittivo dei dispositivi.

Oltre al beneficio in termini di mortalità, non va però dimenticato che l’attuale regime terapeutico adottato nello scompenso cardiaco, consente inoltre ai pazienti di avere una buona qualità di vita, anche in quelli con valori particolarmente ridotti di frazione di eiezione.

 

Franco Folino

 

 

Li Shen, et al. Declining Risk of Sudden Death in Heart Failure. N Engl J Med 2017;377:41-51.

 

 

 

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