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Quanto sono utili i ß-bloccanti nei pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione conservata?

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Le linee guida della Società Europea di Cardiologia sullo scompenso cardiaco, pubblicate nel 2016 e presentate al congresso di Roma, raccomandano l’utilizzo dei beta-bloccanti, in associazione all’ACE inibitore, per i pazienti stabili e sintomatici con scompenso cardiaco e ridotta frazione di eiezione, allo scopo di ridurre il rischio di ospedalizzazione e mortalità (vedi articolo e link in altra parte del giornale).

Esistono però differenti tipi di scompenso cardiaco: con frazione di eiezione conservata, con frazione di eiezione moderatamente ridotta o con frazione di eiezione ridotta. Mentre in quest’ultimo gruppo di pazienti, definito da un valore di frazione di eiezione inferiore al 40%, un trattamento con beta-bloccanti è considerato efficace, altrettanto non può dirsi per i pazienti con frazione di eiezione preservata (≥50%).  In questo gruppo di pazienti solo il nebivololo ha dato qualche risultato positivo ini termini di mortalità e ospedalizzazioni.

Ma qual è la loro efficacia nei pazienti con una moderata riduzione della frazione di eiezione? Ovvero quelli in cui quest’indice oscilla tra il 40 e il 49%?

Risponde a questa domanda un recente studio, pubblicato online sullo European Heart Journal, dove un gruppo di ricercatori europei ha sviluppato una metanalisi sui trattamenti utilizzati in 11 studi clinici randomizzati, in pazienti con differenti gradi di riduzione della performance ventricolare sinistra.

Sono stati analizzati complessivamente i dati di oltre diciottomila pazienti, con un’età media di 65 anni, seguiti in un follow-up medio di 1,5 anni.

L’utilizzo dei beta-bloccanti ha portato a una riduzione della mortalità per qualsiasi causa e della mortalità cardiovascolare, nei pazienti a ritmo sinusale. Questi farmaci sono risultati efficaci per tutti i livelli di frazione di eiezione, tranne che in un piccolo sottogruppo di pazienti in cui la frazione di eiezione era ≥50%. Effetti positivi sono stati dimostrati anche nel gruppo di pazienti con frazione di eiezione compresa tra il 40-49%.

La mortalità per qualsiasi causa è stata il 7,2% nei pazienti in trattamento attivo e il 12,4% nei pazienti del gruppo placebo. La morte cardiovascolare è stata registrata nel 4,5% dei pazienti trattati con beta-bloccante e nel 9,2% del gruppo di controllo.

Riguardo agli endpoint secondari considerati (ricovero per cause cardiovascolari e composito di morte cardiovascolare e ospedalizzazione per cause cardiovascolari), questi sono stati inferiori nei pazienti in trattamento attivo, qualsiasi fosse il livello di frazione di eiezione, ma quando questa superava il 40%, gli intervalli di confidenza si allargavano in modo considerevole.

Questi dati confermano quindi da un lato l’efficacia dei beta-bloccanti nel trattamento dei pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta, e anche in quelli con quest’indice moderatamente depresso, dall’altro evidenziano scarsi benefici nei pazienti con una frazione di eiezione conservata.

Va peraltro considerato che i trial clinici sullo scompenso cardiaco sono stati svolti prevalentemente in pazienti con una funzione ventricolare depressa, quindi non sono ad oggi disponibili casistiche abbastanza gradi, da poter trarre conclusioni definitive sulla reale utilità dei beta-bloccanti in questa categoria di malati.

 

Franco Folino

 

 

 

John G. F. Cleland, et al. Beta-blockers for heart failure with reduced, mid-range, and preserved ejection fraction: an individual patient-level analysis of double-blind randomized trials. European Heart Journal (2017).

 

 

 

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