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Maggiori benefici clinici dal trattamento ipolipemizzante se i livelli basali di LDL superano i 100mg/dL

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Sono ormai molti anni che si susseguono trial clinici che hanno dapprima dimostrato l’efficacia delle statine nella prevenzione degli eventi cardiovascolari e successivamente cercato di identificare i livelli ideali di colesterolo LDL, al fine di ottenere il miglior risultato clinico. Con il procedere di questi studi le linee guida societarie si sono via via adeguate, con il risultato che le terapie ipolipemizzanti sono state estese ad un numero sempre maggiore di pazienti e si sono fatte sempre più aggressive.

Una nuova metanalisi, pubblicata in questi giorni sul JAMA, ha utilizzato una vasta popolazione i cui dati sono stati ricavati da 34 studi clinici, considerando 136.299 pazienti sottoposti ad un trattamento ipolipemizzante intensivo e 133.989 pazienti trattati in modo non aggressivo. I farmaci utilizzati sono stati differenti, in monoterapia o in associazione: statine, statine con ezetimibe, inibitori del PCSK9. Gli studi clinici erano svolti in prevenzione primaria, in prevenzione secondaria o in prevenzione primaria e secondaria congiuntamente.

Gli endpoint primari considerati sono stati due: mortalità per qualsiasi causa e mortalità cardiovascolare.

Il follow-up medio più lungo è stato di 6,7 anni, il follow-up ponderato medio di 3,9 anni. I livelli basali di colesterolo LDL variavano da 92 mg/dL a 192 mg/dL, con una media ponderata di 122 mg/dL.

In una meta-regressione, per incrementi di 40mg/dL di colesterolo LDL basale, confrontando il trattamento più intensivo con il meno intensivo, la sua riduzione si è associata a una variazione del rischio relativo di mortalità per tutte le cause di 0,91 e  per la mortalità cardiovascolare di 0,86. Questa riduzione variava però a seconda del livello di LDL alla visita basale, tanto che un’analisi in questo senso ha evidenziato come la riduzione del rischio di mortalità complessiva e di mortalità cardiovascolare era presente solo negli studi che avevano incluso pazienti con un livello di colesterolo LDL basale uguale o superiore a 100 mg/dL. Il sottogruppo con livelli di LDL maggiori o uguali a 160 mg/dL è stato quello che ha ottenuto le riduzioni di rischio maggiori.

Un trattamento più intensivo si è anche associato a riduzioni di rischio progressivamente maggiori, in base ad un più alto livello di LDL al basale, per infarto miocardico, procedure di rivascolarizzazione ed eventi cardiovascolari maggiori.

Questa metanalisi sembra quindi mettere in luce due punti importanti. Prima di tutto conferma come un trattamento più aggressivo porti a una riduzione della mortalità complessiva e di quella cardiovascolare. D’altro canto, evidenzia come i pazienti che maggiormente beneficiano di un trattamento ipolipemizzante siano quelli con valori basali di colesterolo LDL superiore a 100mg/dL.

I risultati ottenuti sono certamente interessanti, ma hanno il limite di aver incluso in un unico gruppo pazienti con caratteristiche cliniche basali molto differenti, trattati con strategie di prevenzione primaria o secondaria, e quindi con un profilo di rischio estremamente variabile. Inolte, anche il tipo di farmaci utilizzati è stato  differente.

Dal punto di vista pratico questo studio fornisce peraltro risultati piuttosto prevedibili: più è alto il livello di colesterolo LDL maggiori sono i benefici clinici di un trattamento farmacologico. Va inoltre considerato che i pazienti in cui si inizia un trattamento con statine, pur in presenza di un colesterolo LDL inferiore a 100mg/dL, sono soggetti con un profilo di rischio molto elevato.

I grandi trial clinici condotti su vaste popolazioni di pazienti, e ancor di più le metanalisi, forniscono risultati di grande soddisfazione dal punto di vista “statistico”, ma sul piano clinico, forse, sono più i dubbi sollevati che le certezze fornite.

 

Franco Folino

 

JAMA

Eliano P. Navarese, et al. Association Between Baseline LDL-C Level and Total and Cardiovascular Mortality After LDL-C Lowering A Systematic Review and Meta-analysis. JAMA. 2018;319(15):1566-1579.

 

 

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