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Trombosi venosa nei pazienti oncologici: deludenti i risultati della profilassi con rivaroxaban

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Nei pazienti ambulatoriali ad alto rischio con cancro, il trattamento con rivaroxaban non ha indotto una riduzione degli eventi tromboembolici e della mortalità.  Sono questi i deludenti risultati di uno studio pubblicato ieri sul New England Journal of Medicine.

Neoplasie e rischio tromboembolico

È ben noto come i pazienti con cancro in fase attiva siano a maggior rischio di sviluppare un evento tromboembolico. La più alta incidenza di questi eventi comporta aumenti correlati di morbilità e mortalità.

La gravità del rischio tromboembolico in questi pazienti dipende da fattori personali, quali la trombofilia, ma anche da fattori correlati al tumore ed al suo trattamento.

Alcuni studi suggeriscono che il cancro stesso sia associato a uno stato di ipercoagulabilità, guidato in parte dal rilascio di fattori procoagulanti, come il fattore tissutale, e dall’attivazione guidata dall’infiammazione di cellule endoteliali, piastrine e leucociti.

La monoterapia con eparina a basso peso molecolare è la terapia standard in caso di tromboembolia associata al cancro, poiché gli antagonisti della vitamina K sono meno efficaci nei pazienti oncologici. Gli anticoagulanti diretti offrono una potenziale alternativa, ma non vi sono ancora dati totalmente convincenti a favore del loro utilizzo.

Rivaroxaban e tromboembolismo venoso in oncologia: lo studio

Un recente studio, randomizzato, in doppio cieco, ha valutato pazienti oncologici ambulatoriali con cancro ad alto rischio. Questo aspetto è stato definito utilizzando la scala di Khorana, che impiega semplici parametri clinici (tipo di cancro, conta piastrinica e dei leucociti pre-chemioterapia, livello di emoglobina, BMI) per stratificare il rischio tromboembolico in pazienti neoplastici.

In questo studio, i pazienti per essere definiti ad alto rischio dovevano avere un punteggio alla scala di Khorana superiore o uguale a 2.

I soggetti reclutati sono stati randomizzati (841 pazienti) a un trattamento con rivaroxaban alla dose di 10 mg/die o a placebo. Il follow-up è stato di 180 giorni.

L’endpoint primario di efficacia era un composito di trombosi venosa prossimale confermata dell’arto inferiore, un’embolia polmonare, una trombosi venosa profonda sintomatica in un arto superiore, o una trombosi venosa distale in un arto inferiore, e la morte per tromboembolismo venoso.

Un’ulteriore analisi è stata sviluppata sullo stesso endpoint sul periodo di trattamento e su ulteriori 2 giorni dalla sua sospensione.

La profilassi con rivaroxaban

Nell’analisi principale (intention-to-treat), l’endpoint primario si è verificato nel 6% dei pazienti inclusi nel gruppo rivaroxaban e nell’8,8% di quelli appartenenti al gruppo di controllo (p= 0,10). L’incidenza delle trombosi venose prossimali, sintomatiche, agli arti inferiori, è stata rispettivamente del 1,9% e del 2,1%. Le embolie polmonari non fatali, sintomatiche, si sono presentate nei due gruppi con la stessa incidenza (1,2%).

Per quanto riguarda la sicurezza del trattamento, i sanguinamenti maggiori si sono verificati nel 2% dei pazienti in trattamento attivo e nell’1% di quelli inclusi nel gruppo di controllo.

Risultati deludenti

I risultati dello studio sono quindi piuttosto deludenti. La mancata significatività del miglioramento indotto dal rivaroxaban rende i reali benefici di questo trattamento ancora da definire.

A favore del farmaco va peraltro segnalata un’alta frequenza di sospensione del trattamento. Infatti, ben il 47% dei pazienti ha interrotto la cura, probabilmente per cause legate alla malattia di base, una situazione potenzialmente penalizzante in un’analisi intention-to-treat.

Non si può che prendere atto di come questa sperimentazione non sia stata in grado di stabilire un chiaro beneficio del trattamento con rivaroxaban, nella prevenzione degli eventi tromboembolici nei pazienti oncologici.

… e risultati incoraggianti

Lo stesso giorno in cui veniva pubblicato questo studio, appariva sullo stesso giornale anche un’altra sperimentazione simile che aveva utilizzato per la prevenzione degli eventi tromboembolici nei pazienti neoplastici l’anticoagulante diretto apixaban. In questo caso i risultati sono stati decisamente migliori, con un netto beneficio a favore di questo farmaco. Vi invitiamo a leggere l’articolo che presenta questo studio.

 

Franco Folino

 

Alok A. Khorana, et al. Rivaroxaban for Thromboprophylaxis in High-Risk Ambulatory Patients with Cancer. N Engl J Med 2019; 380:720-728.

 

 

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