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Empagliflozin modifica il metabolismo miocardico, migliorando il rimodellamento avverso

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Medical Illustrations by Patrick Lynch, generated for multimedia teaching projects by the Yale University School of Medicine, Center for Advanced Instructional Media, 1987-2000.

Il farmaco antidiabetico empagliflozin si è dimostrato in grado di migliorare il rimodellamento cardiaco in un modello suino non diabetico. La ricerca che ha portato a questi risultati, pubblicata nei giorni scorsi sulla rivista JACC, ha dimostrato inoltre come questa molecola possa migliorare il consumo energetico del miocardio, potenziandone la funzione sistolica.

L’empagliflozin

L’empagliflozin è un farmaco utilizzato nella terapia del diabete. È in grado di ridurre i livelli plasmatici di glucosio agendo sul riassorbimento del glucosio a livello renale. La sua azione si basa sull’inibizione del co-trasportatore di sodio-glucosio 2 (SGLT2), una proteina che agisce appunto a livello renale.

Questo farmaco favorisce quindi la glicosuria inducendo di conseguenza una riduzione della glicemia sia a digiuno che dopo i pasti. Un aspetto particolarmente importante di questa molecola, che riguarda il suo profilo di sicurezza, è il rischio di ipoglicemie pressoché nullo.

Due studi hanno dimostrato una significativa riduzione degli eventi cardiovascolari con empagliflozin e canagliflozin, che non possono essere attribuiti esclusivamente ai loro effetti antidiabetici.

In particolare, lo studio EMPA-REG OUTCOME (Empagliflozin Cardiovascular Outcome Event Trial in Type 2 Diabetes Mellitus Patients) ha dimostrato come empagliflozin sia in grado di ridurre la mortalità cardiovascolare del 38% e le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco del 35%, in pazienti con diabete mellito di tipo 2.

Le azioni a livello cardiaco

Sono stati proposti numerosi meccanismi cardioprotettivi per questi farmaci. Quella più semplice richiama la loro azione natriuretica, con la conseguente riduzione del precarico. A questo si aggiungerebbe una riduzione della pressione arteriosa, e quindi del postcarico.

In quest’ambito potrebbe inserirsi anche un’azione mediata dai recettori di tipo 2 dell’angiotensina II, nel contesto del blocco simultaneo del sistema renina-angiotensina-aldosterone, con conseguente vasodilatazione ed effetti inotropi positivi.

Tra gli altri meccanismi potenzialmente implicati vi potrebbero essere effetti anti-infiammatori, il potenziamento della produzione di chetoni, che possono agire come substrato energetico per il tessuto cardiaco, e il miglioramento della gestione del calcio mitocondriale nei cardiomiociti, grazie alla diminuzione dell’attività del trasportatore sodio-idrogeno.

Gli effetti dell’empagliflozin in assenza del diabete

Questo nuovo studio ha valutato, in un modello animale, l’ipotesi che i benefici cardiaci di empagliflozin siano mediati dalla produzione di corpi chetonici, che possono fungere da substrato super-energetico per il tessuto cardiaco.

In 20 suini non diabetici è stata occlusa con un catetere a palloncino intracoronarico l’arteria discendente anteriore sinistra per 2 ore, allo scopo di causare un infarto miocardico.  Nel corso della procedura, 6 animali sono deceduti per un’aritmia ventricolare. Gli animali rimanenti sono stati randomizzati ad assumere un trattamento con empagliflozin, o placebo, per 2 mesi. È stato inoltre studiato un terzo gruppo di maiali, senza infarto indotto, per valutare il metabolismo del miocardio normale.

Gli animali sono stati valutati con risonanza magnetica cardiaca ed ecocardiografia tridimensionale.

Il consumo di metaboliti miocardici è stato analizzato mediante prelievo simultaneo di sangue dall’arteria coronaria e dal seno coronarico. Sono stati inoltre ottenuti campioni di tessuto miocardico per la valutazione molecolare.

Un miglioramento in due mesi

I risultati dello studio hanno evidenziato come a 2 mesi il gruppo di animali trattato con empagliflozin presentava un miglioramento del rimodellamento avverso rispetto al gruppo di controllo. In particolare, è emersa una minore massa ventricolare sinistra, una ridotta dilatazione, e una minore sfericità, del ventricolo sinistro.

Anche la funzione sistolica ventricolare sinistra è migliorata, così come l’attivazione neurormonale.

È emerso inoltre che il miocardio nei suini senza infarto utilizzava prevalentemente acidi grassi liberi e poco glucosio; consumava lattato, invece che produrlo, segno che era attivo un metabolismo ossidativo anziché anaerobico. In questo stesso gruppo di animali è stato osservato un consumo miocardico di amminoacidi a catena ramificata, ma bassi tassi di corpi chetonici.

I suini trattati con empagliflozin non hanno evidenziato un consumo di glucosio, ma sono passati invece all’utilizzo di corpi chetonici, acidi grassi liberi e amminoacidi a catena ramificata.

Empagliflozin ha fatto inoltre aumentare il contenuto di ATP miocardico e ha migliorato l’efficienza del lavoro cardiaco.

Nuove prospettive di trattamento per l’insufficienza cardiaca

Questo accurato studio condotto su un modello animale mette in luce e conferma gli effetti positivi di un trattamento con empagliflozin in caso di rimodellamento cardiaco avverso, aprendo nuove e concrete prospettive di trattamento per i pazienti con insufficienza cardiaca.

La sperimentazione ha chiaramente dimostrato come empagliflozin sia in grado di far ridurre l’utilizzo del glucosio come fonte energetica nel miocardio, spostando il metabolismo verso altri substrati, quali i corpi chetonici, gli acidi grassi liberi e gli amminoacidi a catena ramificata. Un cambiamento di “carburante” che consente di migliorare il livello di energia disponibile nel miocardio, contrastando il rimodellamento negativo e facendo incrementare la funzione sistolica del ventricolo sinistro.

Dobbiamo attenderci in futuro nuove sperimentazioni su empagliflozin, per confermare questi riscontri positivi anche nell’uomo.

 

Franco Folino

 

Carlos G. Santos-Gallego, et al. Empagliflozin Ameliorates Adverse Left Ventricular Remodeling in Nondiabetic Heart Failure by Enhancing Myocardial Energetics. Journal of the American College of Cardiology Vol. 73, No. 15, 2019.

 

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