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Ictus criptogenetico: dabigatran non è risultato superiore all’aspirina nel prevenire le recidive

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Infarto cerebrale. Hellerhoff/Wikimedia commons

Nei pazienti con una storia recente di ictus embolico di origine indeterminata, dabigatran non è risultato superiore all’aspirina nel prevenire le recidive. Sono questi i deludenti risultati di un nuovo studio, pubblicato in questi giorni sul New England Journal of Medicine, che ha valutato un gruppo di oltre 5.000 pazienti con ictus ischemico di origine indeterminata.

Gli ictus criptogenetici

Circa un terzo di tutti gli ictus ischemici sono di eziologia indeterminata e sono più diffusi tra i giovani adulti. Il termine “ictus criptogenetico” è stato ampiamente utilizzato in letteratura per descrivere questo tipo di evento in cui non si riesce a identificare con precisione l’origine degli emboli che hanno causato la lesione cerebrale.

In questi casi, anche se non è possibile dimostrarlo con certezza, si pensa che la principale causa potenziale sia un episodio silente, parossistico, di fibrillazione atriale. In questo senso, sono sempre più numerose le prove a supporto del monitoraggio cardiaco ambulatoriale, prolungato, per aumentare la rilevazione di questa aritmia nei pazienti con ictus criptogenetico.

Un’altra condizione che può associarsi a questo tipo di ictus è la presenza misconosciuta di un forame ovale pervio. Differenti studi hanno evidenziato un’elevata incidenza di pervietà del forame ovale nei giovani pazienti con un ictus criptogenetico, rispetto alla popolazione generale.

Anticoagulanti diretti e ictus criptogenetico

Ad oggi, le linee guida per la prevenzione secondaria dell’ictus criptogenetico raccomandano la somministrazione di antiaggreganti, ma non quella di anticoagulanti.

Da qualche tempo però, dopo l’entrata in commercio dei nuovi anticoagulanti orali, si cerca di proporre in alternativa questi farmaci nella prevenzione delle recidive.

Questo non è infatti il primo studio in cui si cerca di dimostrare una maggiore efficacia di un anticoagulante diretto rispetto all’aspirina nella prevenzione delle recidive dopo ictus criptogenetico. Già lo scorso giugno un gruppo di ricercatori internazionali aveva pubblicato, sempre sul New England Journal of Medicine, i risultati dello studio NAVIGATE ESUS, che aveva dimostrato come rivaroxaban non era superiore all’aspirina per quanto riguarda la prevenzione delle recidive di ictus dopo un evento embolico iniziale di origine indeterminata. In questo studio veniva inoltre evidenziato, come peraltro c’era da attendersi, un aumento del rischio di sanguinamento con l’utilizzo dell’anticoagulante.

Dabigatran alla prova dei fatti

Questo nuovo studio, il RE-SPECT ESUS, sponsorizzato da Boehringer Ingelheim, è partito evidentemente dal presupposto che esistono sostanziali differenze tra i differenti anticoagulanti diretti e anch’esso ha voluto valutare se dabigatran sarebbe stato efficace nel prevenire ictus ricorrenti dopo un evento criptogenetico, in un confronto con l’aspirina.

La sperimentazione, multicentrica, randomizzata, in doppio cieco, ha utilizzato il dabigatran alla dose di 150 mg o 110 mg due volte al giorno, rispetto all’aspirina alla dose di 100 mg una volta al giorno, su 5.390 pazienti.

Il verdetto di non superiorità

Durante un follow-up mediano di 19 mesi, si sono verificate recidive di ictus nel 6,6% dei pazienti trattati con dabigatran e nel 7,7% dei pazienti assegnati al gruppo aspirina (RR 0,85). Una differenza non statisticamente significativa.

Tra gli endpoint secondari valutati vi era un composito di ictus e infarto miocardico non fatale o morte cardiovascolare. Anch’esso si è verificato in modo simile nei due gruppi di trattamento (207 nel gruppo dabigatran; 232 nel gruppo aspirina). Risultati analoghi anche per gli ictus disabilitanti (25 nel gruppo dabigatran; 42 nel gruppo aspirina) e per la morte dovuta a qualsiasi causa (56 nel gruppo dabigatran; 58 nel gruppo aspirina).

Per quanto riguarda la sicurezza del trattamento, un sanguinamento maggiore si è verificato in 77 pazienti del gruppo dabigatran e in 64 pazienti del gruppo aspirina (HR 1,19). Sanguinamenti non maggiori, ma clinicamente rilevanti si sono verificati in 70 pazienti e 41 pazienti rispettivamente.

Risultati senza appello?

Quanto emerge da questo studio sembra ricalcare i risultati dello studio NAVIGATE, con un verdetto di non superiorità nei confronti dell’aspirina anche per dabigatran.

Va peraltro osservato che le curve di Kaplan–Meier che hanno disegnato l’incidenza degli eventi ricorrenti nel tempo per i due trattamenti, tendono ad allontanarsi in modo evidente dopo i due anni di trattamento. In sostanza, nei nove mesi finali dello studio. Non è quindi escludibile che un’analisi condotta su un follow-up più lungo possa portare a risultati maggiormente favorevoli per l’anticoagulante.

 

Franco Folino

 

Hans-Christoph Diener, et al. Dabigatran for Prevention of Stroke after Embolic Stroke of Undetermined Source. N Engl J Med 2019; 380:1906-1917.

 

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