Home Cardiologia Identificato un nuovo meccanismo di malattia per la miocardiopatia lamina-dipendente

Identificato un nuovo meccanismo di malattia per la miocardiopatia lamina-dipendente

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From: Molecular ageing in progeroid syndromes: Hutchinson-Gilford progeria syndrome as a model, Immunity & Ageing 2009, 6:4. doi:10.1186/1742-4933-6-4. (Review). Henrique Douglas M Coutinho , Vivyanne S Falcão-Silva, Gregório Fernandes Gonçalves and Raphael Batista da Nóbrega

Le laminopatie sono un gruppo di malattie genetiche causate da alterazioni della proteina nucleare lamina A/C e di alcune proteine correlate. Esistono differenti patologie legate a questa alterazione genetica, come la distrofia dei cingoli tipo 1b, la lipodistrofia parziale tipo dunnigan e la distrofia muscolare di Emery-Dreifuss.

Anche il cuore può essere colpito da queste particolari alterazioni che si manifestano in forma di miocardiopatia dilatativa. In questa malattia si assiste ad una dilatazione del cuore che si accompagna ad un’alterata funzionalità, a disturbi di conduzione e ad aritmie pericolose per la vita che possono causare una morte improvvisa.

La riprogrammazione delle cellule

“Nel nostro studio abbiamo utilizzato modelli cardiaci ‘in vitro’, generati mediante un processo di ‘riprogrammazione’ di cellule della pelle di pazienti portatori della mutazione K219T in cellule iPSC (dall’inglese Induced Pluripotent Stem Cells – cellule staminali pluripotenti indotte), ed il loro successivo differenziamento in cardiomiociti, le cellule del cuore alla base della proprietà contrattile del muscolo cardiaco”, spiega Elisa Di Pasquale, ricercatrice dell’ Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irgb) e Humanitas.

“Le cellule iPSC, descritte per la prima volta nel 2006 dal premio Nobel Shinya Yamanaka, hanno rivoluzionato l’approccio allo studio delle malattie e ci hanno permesso di investigare i meccanismi funzionali e molecolari alla base della cardiomiopatia lamina-dipendente”.

Ridotte quantità di correnti del sodio

Sfruttando tali modelli paziente-specifici e le nuove tecniche di correzione genica CRISPR-Cas9, il team di ricercatori del Cnr-Irgb e dell’Istituto Clinico Humanitas ha identificato i difetti funzionali specifici indotti dalla mutazione K219T della Lamina A/C, delineandone i meccanismi responsabili.

È difatti emerso che i cardiomiociti mutati hanno ridotte quantità di correnti del sodio, le quali sono fondamentali per la corretta trasmissione dell’impulso elettrico del muscolo cardiaco. Ciò predispone all’insorgenza delle aritmie che spesso si manifestano nei pazienti portatori di questa mutazione o di altre simili.

È stato inoltre dimostrato il ruolo che la lamina svolge nel regolare ‘epigeneticamente’ l’espressione del gene del canale del sodio (SCN5A), la proteina attraverso cui passa la corrente del sodio, quindi di fondamentale importanza per l’eccitabilità elettrica delle cellule cardiache.

Mutazioni a carico del gene della lamina portano quindi ad una ridotta espressione del gene del canale del sodio, evento che a sua volta determina la propensità della cellula cardiaca ‘malata’ a generare disturbi del ritmo e aritmie.

Il gene del canale del sodio SCN5A

I risultati di questa ricerca migliorano quindi la comprensione delle malattie causate dalla Lamina A/C e identificano nel gene del canale del sodio SCN5A un potenziale target molecolare per una terapia dei disturbi della conduzione in questi pazienti. In futuro, sarà possibile utilizzare le cellule ‘malate’ generate con il metodo Yamanaka per sperimentare nuove molecole che curano la malattia ‘in vitro’, prima di passare alla sperimentazione sull’uomo.

Lo studio, finanziato dal Ministero delle salute, dal Ministero dell’istruzione, università e ricerca,  dall’European Research Council, dal Progetto Bandiera Interomics del Cnr e dal progetto ‘Io Merito’ del 5×1000 di Humanitas è frutto della collaborazione tra i gruppi di ricerca di Elisa Di Pasquale e Gianluigi Condorelli, entrambi afferenti al Cnr-Irgb e all’Irccs Istituto clinico Humanitas, e della collaborazione di ricercatori e medici che operano in Italia e all’estero (Università di Parma, Università di Washington, Università di Verona, Dipartimento Cardiovascolare degli ‘Ospedali Riuniti’ e Università di Trieste).

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications.

 

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