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Pressione sistolica e diastolica: qual è la più importante per il rischio di eventi cardiovascolari?

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Nelle considerazioni sull’ipertensione arteriosa è stato spesso dibattuto se, nei confronti del rischio cardiovascolare, fossero più dannosi valori elevati di pressione sistolica o diastolica. Gli studi che in questi ultimi decenni hanno cercato di chiarire questo aspetto, a partire dallo studio Framingham, hanno dato via via maggiore importanza clinica alla pressione sistolica, tanto che alcuni calcolatori di rischio per le malattie cardiovascolari non considerano (o non hanno considerato) i valori di pressione diastolica.

Un recente studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine, conferma l’importanza determinante dei valori di pressione sistolica sugli esiti clinici, ma rivaluta il ruolo della pressione diastolica come fattore di rischio indipendente per gli eventi cardiovascolari.

Le linee guida sull’ipertensione arteriosa

Gli autori sottolineano come le linee guida 2017 ACC/AHA sull’ipertensione arteriosa prospettano due obbiettivi per il trattamento dell’ipertensione: inferiori a 130/80mmHg nei pazienti con un rischio cardiovascolare a 10 anni di almeno il 10%; un target di 140/90mmHg nei pazienti a basso rischio.

Le linee guida europee dal canto loro, nella versione 2018, definiscono una pressione normale per valori sistolici compresi tra 120 e 129mmHg e valori diastolici di 80–84mmHg. Non basano la scelta del target di trattamento sul profilo di rischio cardiovascolare, ma piuttosto sull’età. Infatti, pongono un primo obbiettivo a valori di pressione inferiori a 140/90mmHg in tutti i pazienti, puntando poi, se il trattamento è ben tollerato, a valori di 130/80mmHg.

Nei pazienti con meno di 65 anni si raccomanda di ridurre la pressione sistolica su valori di 120-129mmHg. In pazienti con 65 o più anni si consiglia un target terapeutico di pressione sistolica a 130-139mmHg. Infine, un target di pressione diastolica inferiore a 80mmHg viene raccomandato per tutti i pazienti ipertesi, indipendentemente dal livello di rischio e dalle comorbilità.

Pressione sistolica, pressione diastolica e rischio cardiovascolare: lo studio

Questo nuovo studio ha utilizzato i dati di oltre 1,3 milioni di adulti, appartenenti ad una popolazione ambulatoriale. L’endpoint principale dello studio era un composito di infarto miocardico, ictus ischemico o emorragico.

I pazienti inclusi nell’analisi avevano un’età media di 53 anni e sono stati seguiti per un periodo di 8 anni. In base alla soglia di 140/90mmHg il 18,9% di loro era classificabile come iperteso, mentre applicando la soglia di 130/80mmH la percentuale saliva al 43,5%.

La presenza di un’ipertensione sistolica e diastolica era un predittore indipendente per gli esiti clinici avversi. Nei modelli di sopravvivenza, un’ipertensione sistolica, definita da valori superiori o uguali a 140mmHg, e un’ipertensione diastolica, definita da valori superiori o uguali a 90mmHg, si sono dimostrate predittori indipendenti per l’endpoint composito dello studio.

Anche adottando la soglia inferiore di ipertensione, vale a dire valori inferiori o uguali a 130/80mmHg, e con pressioni sistoliche e diastoliche utilizzate come predittori, senza soglie di ipertensione, sono stati ottenuti risultati sostanzialmente simili.

Una pressione diastolica da non trascurare

I risultati di questo studio sembrano quindi da un lato confermare il maggior impatto della pressione sistolica su eventi clinici quali infarto miocardico e ictus. D’altra parte però rivalutano il ruolo della pressione diastolica, dimostrando come entrambi i valori pressori di riferimento siano in grado di influenzare, in modo indipendente, il rischio di sviluppare eventi cardiovascolari avversi, a prescindere dalla definizione di ipertensione adottata.

Gli autori concludono quindi che le considerazioni delle linee guida dovrebbero prendere in considerazione con uguale dignità entrambi i valori di pressione, sistolici e diastolici, al fine di ridurre efficacemente il rischio cardiovascolare.

 

Franco Folino

 

Alexander C. Flint, et al. Effect of Systolic and Diastolic Blood Pressure on Cardiovascular Outcomes. N Engl J Med 2019; 381:243-251.

 

 

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