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La sospensione della digossina nei pazienti con scompenso cardiaco ha conseguenze negative

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Apical four chamber view of heart. Patrick J. Lynch and C. Carl Jaffe. This file is licensed under the Creative Commons Attribution 2.5 Generic license.

La digossina ha rappresentato per decenni il trattamento cardine dell’insufficienza cardiaca, fino a quando è stata in gran parte soppiantata dall’introduzione degli ACE-inibitori e dei ß-bloccanti. Nonostante il radicale cambio di paradigma nel trattamento di questa malattia, la digossina è ancora indicata nel trattamento dell’insufficienza cardiaca cronica con prevalente disfunzione sistolica.

Nei pazienti in trattamento con digossina, questo farmaco viene però spesso sospeso, esponendo il paziente a possibili effetti sfavorevoli. Un recente studio, pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology, sembra confermare l’effetto negativo di questa interruzione, dimostrando come la sospensione di questa terapia prima del ricovero, in pazienti ospedalizzati per insufficienza cardiaca, porti ad esiti clinici peggiori.

La sospensione della digossina

I ricercatori hanno valutato i dati raccolti da 11.900 pazienti ospedalizzati per insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta (FE ≤45%), inclusi nel registro OPTIMIZE-HF (Organized Program to Initiate Lifesaving Treatment in Hospitalized Patients with Heart Failure). All’interno di questa coorte di pazienti, 3.499 ricevevano digossina prima del ricovero, che è stata poi interrotta in 721 pazienti.

Per disporre di una popolazione di controllo, è stato selezionato un gruppo abbinato di 698 pazienti utilizzando il propensity score.

Un rischio più elevato di essere ricoverati nuovamente

I risultati appaiono chiari. Al follow-up di 4 anni dalla dimissione, l’interruzione pre-ricovero della digossina è risultata associata ad un rischio più elevato di un nuovo ricovero (HR 1,21).  La stessa associazione negativa è stata evidenziata anche per l’endpoint combinato di riospedalizzazione o mortalità per tutte le cause (HR 1,20). Al contrario non sono state dimostrate associazioni significative con la mortalità per tutte le cause.

Al follow-up di 6 mesi e a quello di 1 anno, l’interruzione della digossina è risultata associata ad un rischio maggiore di riospedalizzazione per scompenso cardiaco o per tutte le cause, di mortalità per tutte le cause e per l’endpoint combinato di riospedalizzazione o mortalità per tutte le cause.

A 30 giorni, l’interruzione della digossina non è risultata associata con il rischio di riospedalizzazione, per scompenso e per tutte le cause, ma è risultata invece significativamente associata a un rischio più elevato di mortalità per tutte le cause (HR 1,80).

Digossina e trattamenti alternativi per lo scompenso cardiaco

Questa nuova ricerca mette in luce i rischi cui si espone il paziente con insufficienza cardiaca sospendendo il trattamento con digossina. Le conseguenze cliniche sono molto articolate e variabili nel tempo. Così l’associazione con la riospedalizzazione non è stata significativa nei primi 30 giorni dopo la dimissione dall’ospedale, ma è diventata significativa a 6 mesi ed è durata per 4 anni. Al contrario, l’associazione con la mortalità era significativa già a 30 giorni ma è scomparsa dopo il primo anno.

Pur con specifiche distinzioni base sugli endpoint considerati, i risultati confermano che la sospensione della digossina porta a conseguenze cliniche negative, anche quando si seguono le terapie raccomandate dalle linee guida più recenti sull’insufficienza cardiaca.

 

Franco Folino

 

Awais Malik, et al. Digoxin Discontinuation and Outcomes in Patients With Heart Failure With Reduced Ejection Fraction. J Am Coll Cardiol 2019;74:617–27.

 

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