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Gli integratori di vitamina D per la prevenzione del diabete di tipo 2

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Nelle persone ad alto rischio di diabete di tipo 2, l’assunzione di integratori di vitamina D3 non ha ridotto il rischio di sviluppare la malattia. Sono questi i risultati, per certi versi deludenti, di una recente ricerca pubblicata sul New England Journal of Medicine.

Il diabete tipo 2 e la vitamina D

Esiste una cospicua letteratura che associa la carenza di vitamina D ad un’alterata funzione delle cellule beta del pancreas e allo sviluppo di insulino-resistenza, diabete tipo 2, sindrome metabolica e malattie cardiovascolari. I meccanismi fisiopatologici responsabili della relazione tra vitamina D e diabete potrebbero essere mediati dai suoi effetti sull’omeostasi del glucosio, con una significativa influenza sulla secrezione di insulina e sulla sensibilità all’insulina.

Tuttavia, non era noto se l’assunzione di integratori a base di vitamina D fosse in grado di ridurre il rischio di sviluppare il diabete.

Gli integratori di vitamina D

Per risolvere questo dubbio un gruppo di ricercatori nordamericani ha selezionato una coorte di soggetti che soddisfacevano almeno due dei tre criteri diagnostici per il prediabete (livello di glucosio nel plasma a digiuno, da 100 a 125 mg per decilitro; livello di glucosio nel plasma 2 ore dopo un carico di glucosio orale da 75 g, da 140 a 199 mg per decilitro; livello di emoglobina glicata, dal 5,7 al 6,4%). Al contrario, non dovevano presentare alcun criterio diagnostico per il diabete.

I 2.423 partecipanti inclusi sono stati quindi assegnati, in modo casuale, al trattamento con una singola pillola di gel molle, una volta al giorno, contenente 4.000 UI di vitamina D3, o placebo. Questa randomizzazione è stata eseguita indipendentemente dal livello sierico di 25-idrossivitamina D alla visita basale.

L’endpoint principale dello studio era il diabete di nuova insorgenza, basato su test glicemici annuali di glucosio plasmatico a digiuno, emoglobina glicata e glucosio plasmatico post-carico di 2 ore, e test semestrali su glucosio plasmatico a digiuno ed emoglobina glicata. Se due o tre delle misure glicemiche raggiungevano le soglie ADA 2010 per il diabete, il partecipante soddisfaceva la diagnosi di malattia.

Gli integratori di vitamina D non sono utili

I risultati ottenuti lasciano pochi dubbi. L’assunzione di vitamina D ha fatto segnare livelli più elevati della concentrazione plasmatica di 25-idrossivitamina D, al 24° mese, con valori nel gruppo in trattamento attivo di 54,3 ng per millilitro, rispetto ai 28,8 ng per millilitro del gruppo placebo.

Gli effetti sullo sviluppo del diabete non sono stati però consistenti. Infatti, nel corso di un follow-up mediano di 2,5 anni, il diabete è stato diagnosticato in 293 partecipanti nel gruppo vitamina D e in 323 nel gruppo placebo. Di conseguenza, l’hazard ratio per la vitamina D rispetto al placebo è risultato non significativo, a 0,88.

Risultati deludenti

Pur essendoci un consenso sul fatto che i pazienti con bassi livelli di vitamina D nel sangue abbiano un maggior rischio di sviluppare un diabete di tipo 2, l’utilizzo di supplementi di questa vitamina non sembra contrastare efficacemente questo processo.

Non è detto che la ricerca in questo campo si debba considerare conclusa. Anzi, sono molte le variabili in gioco e quindi sperimentazioni con differenti dosi di vitamina D, in pazienti selezionati, magari in base ad uno specifico genotipo, potrebbero fornire risultati differenti.

In particolare, questo studio ha incluso i pazienti indipendentemente dal loro livello sierico di 25-idrossivitamina D alla visita basale, che era però sostanzialmente normale in un’alta percentuale di soggetti (valore medio 28 ng/ml). Questa circostanza potrebbe così aver limitato la capacità dello studio di rilevare effetti significativi indotti dagli integratori.

 

Franco Folino

 

Anastassios G. Pittas, et al. Vitamin D Supplementation and Prevention of Type 2 Diabetes. N Engl J Med 2019;381:520-30.

 

 

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