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Un confronto tra il cervello dell’uomo e quello del topo

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È un confronto che a pochi verrebbe in mente di fare, ma un gruppo di ricercatori ha paragonato il cervello dell’uomo a quello del topo. Lo scopo era quello di valutare differenze nell’evoluzione del cervello umano. Hanno così identificato 75 diversi tipi di cellule presenti in una regione della corteccia cerebrale umana.

Confrontando questi dati con quelli di una regione analoga del cervello del topo, lo studio rivela somiglianze nella loro architettura e nei tipi di cellule, ma anche ampie differenze. I risultati di questa ricerca, pubblicata nei giorni scorsi sulla rivista Nature, sottolineano l’importanza di studiare direttamente il cervello umano, oltre all’impiego di organismi modello.

Corteccia cerebrale umana e corteccia cerebrale del topo

Rispetto alla corteccia cerebrale del topo, la corteccia umana è oltre 1.000 volte più grande, per area e numero di neuroni. Sebbene l’architettura di base sembri essere conservata nelle differenti specie di mammiferi, ricerche precedenti avevano suggerito differenze significative nella composizione cellulare della corteccia umana.

Le cellule cerebrali corrispondenti tra uomo e topo

Ed Lein e colleghi hanno usato il sequenziamento dell’RNA a singolo nucleo per classificare i tipi di cellule nel giro temporale medio del cervello umano. La loro analisi ha rivelato 75 tipi di cellule distinte, tra cui 6 cellule non neuronali, 24 eccitatorie e 45 inibitrici.

Utilizzando set di dati di sequenziamento dell’RNA a cellula singola di topo, hanno quindi confrontato la corteccia umana e quella di topo. Hanno così scoperto che la maggior parte dei tipi di cellule identificati nell’uomo avevano tipi di cellule corrispondenti nei topi.

Tuttavia, gli autori hanno anche scoperto che c’erano differenze nei livelli di espressione genica tra i corrispondenti tipi di cellule. Ad esempio, i recettori della serotonina erano la seconda famiglia genetica più divergente tra le due specie. Gli autori suggeriscono che quanto evidenziato nel loro studio potrebbe mettere in dubbio l’utilizzo dei modelli murini nelle ricerche sui disturbi neuropsichiatrici che coinvolgono la segnalazione della serotonina.

 

 

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