Home Cardiologia Le implicazioni dell’iperkaliemia nel trattamento dei pazienti con scompenso cardiaco

Le implicazioni dell’iperkaliemia nel trattamento dei pazienti con scompenso cardiaco

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Una miocardiopatia dilatativa. James Heilman, MD

Gli inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone sono un elemento cardine nel trattamento dell’insufficienza cardiaca. A causa del loro meccanismo d’azione possono però causare un incremento delle concentrazioni seriche di potassio, esponendo il paziente a possibili effetti avversi. Non solo, la comparsa dell’iperkaliemia può costringere il medico a ridurre il dosaggio di questi farmaci, riducendo al contempo gli effetti favorevoli di questa terapia.

Un recente studio, pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology: Heart Failure, ha cercato di valutare questi aspetti, indagando le associazioni tra iperkaliemia durante i ricoveri per insufficienza cardiaca acuta e i cambiamenti nella terapia con gli inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone.

Linee guida e inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone

Le linee guida della Società Europea di Cardiologia, datate 2016, raccomandano l’uso degli ACE inibitori nei pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione ridotta, perché è stato chiaramente dimostrato come questi farmaci riducano mortalità e morbilità. Il documento precisa inoltre che la posologia degli ACE inibitori deve essere aumentata fino alla massima dose tollerata, per ottenere un’adeguata inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone. Al contempo viene constatato che nella pratica clinica la maggior parte dei pazienti riceve dosi non ottimali di questi farmaci. Gli ACE inibitori sono raccomandati anche in pazienti con disfunzione sistolica asintomatica del ventricolo sinistro, per ridurre il rischio di scompenso cardiaco, ricovero e morte.

Gli antagonisti del recettore per l’angiotensina sono raccomandati solo come alternativa agli ACE inibitori, in pazienti intolleranti.

Sempre in queste linee guida, spironolattone o eplerenone sono raccomandati in tutti i pazienti sintomatici con scompenso cardiaco e frazione di eiezione inferiore o uguale al 35%, per ridurre la mortalità e il ricovero in ospedale. Vengono peraltro raccomandati controlli regolari dei livelli serici di potassio

e della funzionalità renale.

Iperkaliemia e scompenso cardiaco

In questo nuovo studio le concentrazioni seriche di potassio sono state misurate quotidianamente dal ricovero fino alla dimissione, o al giorno 7, in 1.589 pazienti arruolati nello studio PROTECT. L’iperkaliemia incidente è stata definita come almeno un episodio di aumento dei valori ematici di potassio al di sopra di 5 mEq/L.

L’outcome primario dello studio era la mortalità per tutte le cause a 180 giorni.

Sale il potassio ma non gli eventi

L’analisi dei dati ha evidenziato un aumento della concentrazione ematica di potassio che è passata da 4,3 a 4,5 mEq/L. Il 35% dei pazienti ha sviluppato una iperkaliemia. Questi, erano più spesso trattati con antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi prima del ricovero e avevano maggiori probabilità di averli ridimensionati durante il ricovero.

Anche se non è stata evidenziata alcuna associazione significativa tra iperkaliemia incidente ed esiti avversi, i ricercatori hanno osservato come una titolazione verso il basso degli antagonisti dei recettori per i mineralcorticoidi durante il ricovero è stata indipendentemente associata alla mortalità a 180 giorni (HR 1,73), indipendentemente dall’iperkaliemia incidente.

I pazienti con iperkaliemia, che erano stati dimessi con la stessa dose o con una dose aumentata di antagonisti recettoriali per i mineralcorticoidi, ACE inibitori o antagonisti recettoriali dell’angiotensina, hanno evidenziato una mortalità inferiore a 180 giorni.

Iperkaliemia e modifiche alla terapia per lo scompenso cardiaco

I risultati di questo studio sembrano quindi indicare che, pur in presenza di un aumento dei valori del potassio plasmatico, i pazienti ricoverati per scompenso cardiaco non sviluppano eventi avversi correlati.  L’iperkaliemia è risultata però associata ad un intervento sulla terapia, diretto in particolare alla riduzione della dose dell’antagonista recettoriale per i mineralcorticoidi.

Come abbiamo detto, i pazienti che hanno mantenuto invariata la dose di questi farmaci, degli ACE inibitori o degli antagonisti recettoriali dell’angiotensina, o addirittura l’hanno aumentata, hanno evidenziato una migliore sopravvivenza a 180 giorni, anche in pazienti con iperkaliemia incidente. Questo fatto viene interpretato dagli autori come la dimostrazione che nei momenti in cui si interviene con un trattamento cardiovascolare intensivo, l’iperkaliemia potrebbe non attenuare gli effetti benefici di questi agenti terapeutici.

 

Franco Folino

 

 

Joost C. Beusekamp, et al. Hyperkalemia and treatment with RAAS-inhibitors during acute heart failure hospitalizations and their association with mortality. JACC: Heart Failure, 2019.

 

 

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