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Un nuovo algoritmo per escludere la presenza di embolia polmonare

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Embolia polmonare/wikimedia commons

La diagnosi di embolia polmonare è spesso difficile, tanto che in alcuni casi di minore entità l’evento può passare del tutto inosservato. Anche se i sintomi che delineano l’embolia polmonare sono molti, la loro aspecificità può rendere arduo anche porre il solo sospetto clinico.

Un recente studio, pubblicato nei giorni scorsi sul New England Journal of Medicine, ha evidenziato come combinando i livelli di D-dimero con una valutazione della probabilità clinica pretest si possano meglio identificare i pazienti a basso rischio di embolia polmonare.

La diagnosi di embolia polmonare

L’embolia polmonare è una condizione potenzialmente pericolosa per la vita, perciò richiede una rapida diagnosi. L’uso di punteggi di previsione clinica, come il punteggio Wells, ha contribuito al processo decisionale e ha ridotto le indagini radiologiche non necessarie. In questo test vengono considerati sette parametri, a ciascuno dei quali viene attribuito un punteggio che va da 1 a 3: precedente embolia polmonare o trombosi venosa profonda, chirurgia o immobilizzazione nelle ultime 4 settimane, diagnosi di neoplasia, emottisi, frequenza cardiaca maggiore di 100 bpm, segni clinici di trombosi venosa profonda, diagnosi alternative meno probabili dell’embolia polmonare.

Se l’embolia polmonare è ritenuta “improbabile”, si fa solitamente riferimento ai valori di D-dimero. Se questo è normale si può escludere la presenza dell’embolia. Al contrario, se i livelli di D-dimero sono aumentati, si deve passare ad una definizione con esame di imaging toracico.

L’angiografia polmonare rappresenta l’esame di riferimento per la diagnosi definitiva di embolia polmonare, ma può rilevare anche un’embolia asintomatica dal significato clinico incerto.

L’altro esame di riferimento è la scansione della ventilazione-perfusione, che consente di evitare l’esposizione alle radiazioni, cosa particolarmente importante in gravidanza.

Una scansione ventilazione-perfusione a bassa o alta probabilità è utile per escludere o confermare l’embolia polmonare, ma un risultato con probabilità intermedia richiede ulteriori approfondimenti.

Il Pulmonary Embolism Graduated d-Dimer study

In questo nuovo studio prospettico, il Pulmonary Embolism Graduated d-Dimer study (PEGeD), che ha coinvolto oltre 2.000 pazienti, i ricercatori hanno valutato una strategia per escludere l’embolia polmonare nei pazienti ambulatoriali, con una bassa probabilità clinica pretest e un livello di D-dimero inferiore a 1.000 ng/ml e in quelli con una probabilità pretest moderata e un livello di D-dimero inferiore a 500 ng/ml.

Va sottolineato che il livello di 1.000 ng/ml è il doppio della soglia abituale usata per escludere la presenza di un’embolia polmonare.

I pazienti che non soddisfacevano questi due criteri sono stati sottoposti a un esame di imaging toracico.

Probabilità pretest e D-dimero

Dei 1.325 pazienti che avevano una probabilità pretest bassa o moderata e un test del D-dimero negativo (rispettivamente <1000 o <500 ng/ml), nessuno aveva una tromboembolia venosa durante il follow-up.

Di tutti i 1863 pazienti che non hanno ricevuto inizialmente una diagnosi di embolia polmonare e non hanno ricevuto terapia anticoagulante, un solo paziente ha presentato una tromboembolia venosa.

Grazie alla strategia proposta in questo studio, l’imaging toracico è stato utilizzato in circa il 34% dei pazienti. Una strategia basata sull’esclusione dell’embolia polmonare per una bassa probabilità pretest e livelli di D-dimero inferiori a 500 ng/ml ha portato invece ad una indicazione all’imaging toracico nel 52% circa dei pazienti.

Un algoritmo affidabile

Tra le differenti limitazioni di questo studio, gli autori sottolineano come quasi tutti i pazienti arruolati erano ambulatoriali, quindi i risultati potrebbero non essere applicabili ai pazienti ricoverati. Inoltre, molti pazienti avevano una probabilità clinica pretest moderata e un livello di D-dimero inferiore a 500 ng/ml, questo non ha consentito di identificare con precisione il valore predittivo negativo in questo sottogruppo.

Gli autori puntualizzano infine che la prevalenza dell’embolismo polmonare tra i pazienti sottoposti a test diagnostici è sostanzialmente più alta in Europa rispetto al Nord America. Questo dovrebbe comportare percentuali differenti di pazienti classificati a bassa o moderata probabilità pretest in Europa rispetto al Nord America, con un valore predittivo negativo dell’algoritmo testato nello studio non coerente.

I risultati di questo studio sembrano fornire dati peraltro dati solidi a conferma dell’efficacia dell’algoritmo proposto. Un metodo che consente di escludere la presenza di embolia polmonare e risparmiare quindi a molti pazienti un prolungamento del percorso diagnostico con indagini radiologiche.

 

Franco Folino

 

 

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