Home Cardiologia Gli antagonisti recettoriali dei mineralcorticoidi nello scompenso cardiaco: poco usati e spesso...

Gli antagonisti recettoriali dei mineralcorticoidi nello scompenso cardiaco: poco usati e spesso interrotti

6194
0

L’insufficienza cardiaca è la causa più frequente di ricovero negli adulti di età pari o superiore a 65 anni. Una delle principali ragioni di questa elevata prevalenza è il progressivo invecchiamento della popolazione.

L’insufficienza cardiaca si associa inoltre a un alto tasso di mortalità, che in Europa è di circa 30 casi ogni 100.000 pazienti, ma che negli ultimi decenni si è gradualmente ridotta, probabilmente grazie a una migliore gestione di questi pazienti.

D’altra parte, va ricordato che un ricovero per scompenso cardiaco acuto è spesso seguito da frequenti riospedalizzazioni e ad altri eventi clinici. Negli Stati Uniti il tasso di riammissione a 30 giorni è di circa il 25% e oltre il 50% di queste si verifica durante i primi 15 giorni dalla dimissione.

Gli antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi

La terapia farmacologica iniziale per i pazienti con scompenso cardiaco comprende un ACE-inibitore, un beta-bloccante e, se necessario, diuretici. Nei pazienti che rimangono sintomatici nonostante questo regime terapeutico è indicato il trattamento con un antagonista recettoriale dei mineralcorticoidi (MRA), con una titolazione al dosaggio massimo tollerato.

Gli antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi sono diventati parte integrante del trattamento farmacologico dello scompenso cardiaco con frazione di eiezione ridotta. Questi farmaci hanno dimostrato importanti benefici clinici in termini di morbilità e mortalità.

I meccanismi principali con cui questi farmaci esercitano i loro effetti positivi sono il mantenimento di livelli adeguati di potassio nel siero e il blocco degli effetti dell’aldosterone a livello del cuore, dove è stata dimostrata la presenza di una sovraespressione locale di recettori per i mineralcorticoidi.

Gli MRA disponibili sono quattro, spironolattone, eplerenone, canrenone e finerenone, ma nella pratica clinica vengono utilizzati solo i primi due.

Scompenso cardiaco: una fotografia sulle abitudini cliniche

Un nuovo studio, pubblicato recentemente con libero accesso sulla rivista ESC Heart Failure, ha valutato se, in condizioni di vita reale, nei pazienti ad alto rischio a seguito di un ricovero in ospedale, venivano effettivamente prescritti gli MRA. È stata inoltre valutata la probabilità che il farmaco fosse assunto in modo continuato dopo la dimissione, i motivi per l’interruzione e l’associazione tra mantenimento del trattamento e risultati clinici.

Per fare questo, i ricercatori del Department of Cardiology, della University of California San Diego, La Jolla, hanno analizzato i dati disponibili nel sistema informatico del loro ospedale, raccolti tra il 2011 e il 2013, includendo pazienti con frazione di eiezione ventricolare sinistra minore del 40%, in classe HYHA III o IV.

Antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi: poco prescritti, spesso sospesi

I pazienti che avrebbero beneficiato del trattamento sono risultati 271, ma solo il 38,7% di loro ha ricevuto una prescrizione di MRA alla dimissione.

Nel corso di un follow-up mediano di 3 anni, il 66,7% ha continuato la terapia con MRA. L’iperkaliemia, che si è verificata nel 40,1% dei pazienti trattati, è stata la causa più frequente di sospensione del farmaco.

D’altra parte, i risultati evidenziano come i pazienti che avevano mantenuto la terapia con MRA avevano subito meno ricoveri per tutte le cause, meno ricoveri per cause cardiovascolari e scompenso cardiaco, nonché una sopravvivenza migliore rispetto a quelli che avevano interrotto il trattamento.

I ricercatori hanno cercato anche di delineare le caratteristiche dei pazienti cui non erano stati prescritti gli MRA. È risultato come i pazienti dimessi senza questi farmaci tendevano ad essere più anziani, ad avere una pressione sanguigna sistolica più elevata e una frazione di eiezione più alta. Inoltre, avevano più frequentemente una storia di malattia coronarica e ipertensione. Tutto ciò nonostante i livelli serici di creatinina e potassio alla visita basale non differissero significativamente tra i gruppi di pazienti dimessi con o senza un MRA.

Tanto efficaci quanto dimenticati

Questo studio sembra delineare un quadro molto chiaro che, pur riflettendo il comportamento di medici e pazienti di una ristretta area geografica, potrebbe comunque fornire un indizio su possibili atteggiamenti più generalizzati nei confronti degli MRA.

Come sottolineano gli autori, solo una minoranza dei pazienti con scompenso cardiaco hanno ricevuto un trattamento con MRA dopo il ricovero in ospedale e quasi un terzo di loro ha sospeso il farmaco dopo la dimissione.

Quindi, se da un lato i risultati confermano gli effetti clinici positivi di questi farmaci, dall’altro viene messa in risalto una loro sottoutilizzazione. Per questo i ricercatori concludono sottolineando la necessità di strategie migliori per aumentare la prescrizione degli MRA dopo un ricovero per scompenso cardiaco e per mantenere questa terapia nel periodo successivo.

 

Franco Folino

 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui