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Sostituzione valvolare aortica chirurgica o transcatetere a confronto. I risultati a 5 anni

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CDC/Dr. Edwin P. Ewing, Jr.

La scelta del momento più opportuno per dare indicazione alla sostituzione valvolare aortica non è cosa semplice. Allo stesso tempo la scelta della migliore tecnica di intervento resta oggetto di dibattito: sostituzione chirurgica classica o impianto percutaneo della protesi?

Una scelta più oculata può essere fatta oggi grazie ai differenti studi che hanno valutato gli esiti delle due opzioni nel lungo termine.

Uno di questi, pubblicato nei giorni scorsi sul New England Journal of Medicine, sembra indicare alcuni vantaggi utilizzando la tecnica transcatetere.

L’impianto della protesi aortica per via percutanea (TAVI)

Con l’invecchiamento della popolazione sono sempre più i pazienti “grandi anziani” in cui si sviluppa una stenosi aortica grave, sintomatici o meno, che possono essere candidati alla sostituzione transcatetere della valvola aortica.

Questi soggetti tendono a tollerare abbastanza bene la procedura, con bassi tassi di mortalità ospedaliera, che ad un anno si aggira sul 23%, e scarse complicanze gravi. Tant’è che negli ultimi anni l’indicazione ad un impianto protesico transvalvolare sembra allargarsi sempre più. Inizialmente indirizzata a pazienti ad alto rischio chirurgico questa tecnica viene oggi impiegata anche in soggetti con un rischio basso (vedi precedente articolo sull’argomento).

Ovviamente è sempre indispensabile un’accurata selezione dei pazienti candidati all’intervento transcatetere, affiancando alla valutazione clinica quella della fragilità, un parametro spesso in grado di rivelare la reale “età cronologica” del soggetto.

La stenosi aortica grave

Questo nuovo studio ha arruolato oltre 2.000 pazienti a rischio chirurgico intermedio, con stenosi aortica grave e sintomatica. Alla sperimentazione hanno partecipato 57 centri.

I pazienti sono stati assegnati in modo casuale a essere sottoposti ad un intervento transcatetere o a una sostituzione chirurgica classica. Punto di forza dello studio è il follow-up relativamente lungo, che si è protratto per cinque anni, valutando esiti clinici, ecocardiografici e stato di salute dei pazienti.

L’end point primario dello studio era la morte per qualsiasi causa o l’ictus invalidante.

Sostituzione valvolare aortica chirurgica o transcatetere?

I risultati dello studio hanno evidenziato come non vi fosse alcuna differenza nella mortalità per qualsiasi causa o per l’ictus invalidante tra i due tipi di approccio: transcatetere o chirurgico (47,9% versus 43,4% rispettivamente).

Lo studio ha anche valutato i risultati in base al tipo di procedura scelta prima che avvenisse la randomizzazione. Questa aveva portato ad assegnare un approccio transfemorale al 73% dei partecipanti e un approccio transtoracico nei rimanenti.

In base a questo parametro, l’incidenza dell’end-poin primario è risultata più elevata nel gruppo in cui era stato indicato un intervento transcatetere rispetto all’intervento transtoracico (59,3% versus 48,3% rispettivamente)

Nel corso del follow-up, un’insufficienza aortica lieve paravalvolare è stata osservata con maggior frequenza nei pazienti trattati con una tecnica transcatetere (33,3% versus 6,3%). Allo stesso modo, anche le riospedalizzazioni sono state più frequenti in questo gruppo (33,3% versus 25,2%), così come i reinterventi sulla valvola (3,2% versus 0,8%).

Più in generale, considerando il benessere dei pazienti dopo le due procedure, al termine del follow-up è stata evidenziata una salute sostanzialmente simile nei due gruppi di trattamento.

Nessuna differenza a cinque anni

Questo studio sembra quindi evidenziare una sostanziale uguaglianza, in termini di mortalità e incidenza di ictus, tra i pazienti con stenosi aortica trattati con intervento chirurgico o con un approccio transcatetere.

D’altra parte, altri eventi minori sono stati più frequenti nel gruppo trattato con tecnica transcatetere, come la necessità di un reintervento sulla valvola.

A questo proposito è interessante osservare come le cause del reintervento erano nettamente diverse tra i due gruppi. Nel gruppo che aveva subito un intervento chirurgico la causa più comune era un’endocardite, che è stata gestita con ripetuti interventi, gravati da un’alta mortalità chirurgica. Nel gruppo trattato con procedura transcatetere la causa più frequente di reintervento è stata invece la progressiva stenosi o insufficienza della valvola protesica, con esiti precoci favorevoli.

 

Franco Folino

 

 

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