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Cirrosi epatica: l’aspirina fa ridurre il rischio di sviluppare un carcinoma epatocellulare

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High magnification micrograph of fibrolamellar hepatocellular carcinoma. Nephron.

Uno studio svedese condotto in pazienti con epatite virale cronica ha evidenziato come l’uso di aspirina a basso dosaggio sia in grado di ridurre il rischio di sviluppare un carcinoma epatocellulare. A questo effetto positivo non si è contrapposto un rischio più elevato di incorrere in un sanguinamento gastrointestinale. I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati nei giorni scorsi sulla rivista The New England Journal of Medicine.

L’epatite virale cronica

Anche se negli ultimi decenni sono stati fatti molti progressi nella prevenzione e nel trattamento dell’epatite virale cronica, questa malattia resta gravata da un significativo tasso di complicanze, tra cui lo sviluppo di una cirrosi e di un carcinoma epatocellulare.

Nonostante le misure preventive introdotte, negli ultimi anni l’incidenza di cirrosi e carcinoma epatocellulare è in aumento sia negli Stati Uniti sia in Europa.

Le infezioni epatiche legate ai due principali agenti eziologici della malattia, i virus dell’epatite C e B, causano così oltre un milione decessi ogni anno e si prevede che entro il 2040, i decessi per epatite cronica supereranno quelli legati a HIV, tubercolosi e malaria messe insieme.

La maggior parte delle infezioni da virus dell’epatite di tipo C sono causate generalmente dal contatto con sangue contaminato. Si ritiene che azioni quali il ripetuto utilizzo di una siringa o di un ago non sterilizzati, siano tra le principali cause che portano ad un’infezione da virus di tipo C.

Al contrario, l’infezione con virus dell’epatite di tipo B è prevalentemente legata alla trasmissione da madre a figlio. Infatti, solo il 5% delle persone si infetta in età adulta.

Aspirina e carcinoma epatico

Questo nuovo studio si basa su precedenti sperimentazioni che avevano evidenziato come l’aspirina potesse prevenire la progressione della malattia epatica e lo sviluppo di un epatocarcinoma.

I ricercatori hanno così utilizzato i dati raccolti nei registri sanitari svedesi, identificando oltre 50.000 soggetti con diagnosi di epatite cronica B o C che non avevano utilizzato aspirina.

Questo gruppo è stato confrontato con quello formato dai pazienti che stavano iniziando a prendere aspirina a basso dosaggio (14.205 pazienti).

I due endpoint principali dello studio sono stati la diagnosi di carcinoma epatocellulare e la mortalità correlata al fegato. È stata inoltre valutata l’incidenza dei sanguinamenti gastrointestinali.

Ridotti i casi di carcinoma epatico

I risultati dello studio hanno evidenziato come tra i pazienti trattati con aspirina l’incidenza stimata di carcinoma epatocellulare era del 4,0%, mentre saliva all’8,3% tra i pazienti che non utilizzavano questo farmaco.

L’analisi dei dati ha rivelato inoltre che il rischio di sviluppare un carcinoma epatico si riduceva sempre più se il trattamento con aspirina era protratto a lungo nel tempo, fino a raggiungere un rapporto di rischio di 0,57 quando il farmaco veniva assunto per 5 o più anni.

Anche la mortalità a dieci anni correlata al fegato è stata influenzata positivamente dall’assunzione di aspirina, risultando dell’11,0% tra gli utilizzatori del farmaco e del 17,9% tra i non utilizzatori.

Per quanto riguarda la sicurezza del trattamento antiaggregante i risultati sono del tutto tranquillizzanti. Infatti, il rischio di sanguinamento gastrointestinale a dieci anni non differiva in modo significativo tra i due gruppi di pazienti.

Carcinoma epatico: l’effetto protettivo dell’aspirina

Questa ricerca sembra quindi confermare l’effetto protettivo indotto dall’aspirina nei confronti dello sviluppo di un carcinoma epatico in pazienti con epatite virale cronica. Un vantaggio ottenuto senza far aumentare nel contempo il rischio di sanguinamenti gastro intestinali.

I meccanismi con cui l’aspirina esercita il suo effetto protettivo nei confronti delle cellule epatiche non sono ancora stati definiti, ma tra questi vengono proposti la prevenzione della degranulazione piastrinica, la modulazione dei lipidi bioattivi e l’inibizione della cicloossigenasi-2, un enzima proinfiammatorio.

Negli ultimi tempi la mortalità per carcinoma epatocellulare sta aumentando più rapidamente di quella di qualsiasi altro tumore. Poter disporre di trattamenti semplici e sicuri, già disponibili in commercio, potrebbe aiutare a contrastare questa tendenza in modo significativo.

D’altra parte, come ammettono gli stessi autori, per confermare in modo inconfutabile questi risultati, saranno necessari ulteriori studi clinici randomizzati, appositamente disegnati per valutare i benefici dell’aspirina nella prevenzione del carcinoma epatocellulare.

 

Franco Folino

 

 

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