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COVID-19: la variante sudafricana sembra resistente agli anticorpi

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Immagine del coronavirus
This media comes from the Centers for Disease Control and Prevention's Public Health Image Library (PHIL), with identification number #4814.

Uno pseudovirus sviluppato in laboratorio, contenente le mutazioni trovate nella variante SARS-CoV-2 501Y.V2, rilevata per la prima volta in Sud Africa, è risultato resistente alla neutralizzazione quando esposto a tre tipi di anticorpi terapeutici per la malattia COVID-19 o al plasma ottenuto da malati nella fase di convalescenza. Questi preoccupanti risultati, frutto di uno studio pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista Nature Medicine, prospettano la possibilità che le persone che hanno avuto COVID-19 possano in seguito riammalarsi. Inoltre, potrebbero far pensare che i vaccini che prendono di mira la proteina spike sulla superficie del virus SARS-CoV-2 potrebbero non essere del tutto efficaci contro le varianti emergenti.

Identificare bersagli virali più stabili

Le persone infettate dal virus SARS-CoV-2 sviluppano anticorpi neutralizzanti che possono persistere per mesi e possono proteggere una persona dalla reinfezione. Questi anticorpi vengono anche utilizzati come potenziali trattamenti terapeutici per il virus. Tuttavia, non è ancora chiaro se gli anticorpi che un individuo sviluppa contro SARS-CoV-2, per una malattia spontanea o in risposta alla vaccinazione, possano neutralizzare le nuove varianti che sono state isolate negli ultimi mesi in varie parti del mondo.

Penny Moore e colleghi hanno utilizzato un test di neutralizzazione dello pseudovirus, un virus generato in laboratorio e utilizzato di routine per questo tipo di test, che conteneva le mutazioni trovate nella proteina virale spike della variante SARS-CoV-2 501Y.V2. Hanno quindi confrontato la neutralizzazione di 501Y.V e il lignaggio originale con tre classi di anticorpi.

La perdita di attività neutralizzante

Hanno scoperto che tutte e tre le classi di anticorpi neutralizzavano il lignaggio originale del virus ma non la variante 501Y.V2. Successivamente, gli autori hanno testato la neutralizzazione mediante il plasma ottenuto da 44 pazienti convalescenti. Tra questi, alcuni arano stati ricoverati in ospedale con COVID-19 grave.

Si è verificata una sostanziale perdita di attività neutralizzante nei campioni valutati, rispetto alla variante 501Y.V2 e quasi la metà dei campioni non ha mostrato attività di neutralizzazione rilevabile. Solo tre campioni – da pazienti con sintomi gravi – hanno mostrato alti livelli di attività di neutralizzazione. Nonostante la mancanza di neutralizzazione, questi anticorpi sono ancora legati alla proteina spike della variante, il che suggerisce che possono aiutare a fornire protezione in un modo diverso.

Gli autori sostengono che sebbene siano necessarie ulteriori ricerche, questi risultati dimostrano l’urgente domanda di piattaforme di progettazione di vaccini rapidamente adattabili e la necessità di identificare bersagli virali più stabili da incorporare nelle terapie future.

Solo pochi giorni fa vi avevamo presentato uno studio analogo, anch’esso pubblicato sulla rivista Nature Medicine, che aveva evidenziato una resistenza all’effetto degli anticorpi neutralizzanti di altre varianti del virus SARS-CoV-2.

Va peraltro sottolineato che questi due studi sono stati condotti in laboratorio. La reazione immunitaria indotta dai vaccini nell’individuo è invece molto più complessa e non si basa sui soli anticorpi. Quindi, sulla base di questi risultati, non è possibile invocare una minore efficacia dei vaccini finora disponibili sulle varianti emergenti.

 

 

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