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L’importanza dell’attività fisica nei pazienti con insufficienza renale

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Il rene

Il primo studio a segnalare la quantità ottimale di attività fisica nei pazienti con malattia renale è stato pubblicato in occasione della Giornata mondiale del rene sullo European Journal of Preventive Cardiology. La malattia renale aveva meno probabilità di progredire in individui attivi, che inoltre avevano anche meno problemi cardiaci e una migliore sopravvivenza.

150 minuti di attività fisica la settimana

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda almeno 150 minuti di attività fisica a intensità moderata o almeno 75 minuti di attività fisica ad intensità vigorosa settimanale, o una combinazione equivalente. Questo studio ha rilevato che i pazienti con malattia renale il cui livello di attività variava dal minimo consigliato dell’OMS fino al doppio avevano i migliori risultati in termini di salute nel corso di un follow-up di quasi due anni. Rimanere attivi è stato fondamentale per consolidare i benefici ottenuti.

L’autore dello studio, il professor Der-Cherng Tarng del Taipei Veterans General Hospital e della National Yang-Ming University, a Taiwan, ha dichiarato: “I nostri risultati suggeriscono che l’attività fisica dovrebbe essere integrata nella cura clinica dei pazienti con malattie renali”.

La malattia renale cronica colpisce circa 700 milioni di persone in tutto il mondo. Il deperimento muscolare provoca inattività fisica che a sua volta aumenta il rischio di malattie cardiovascolari, la principale causa di morte in questi pazienti. Una volta che la malattia renale cronica progredisce verso la malattia renale allo stadio terminale, il rischio di morte cardiovascolare è 10-20 volte superiore rispetto alla popolazione generale. Ciò significa che rallentare la progressione è importante per la salute del cuore e la longevità.

I collegamenti tra esercizio fisico e mortalità

Questo è stato il primo studio su larga scala a indagare l’associazione tra attività fisica e progressione della malattia renale. Nello specifico, lo studio ha esaminato i collegamenti tra esercizio fisico e mortalità per tutte le cause, malattia renale allo stadio terminale ed eventi cardiovascolari nei pazienti con malattia renale.

Lo studio ha incluso 4.508 pazienti con malattia renale cronica tra il 2004 e il 2017. I pazienti non erano in dialisi. I pazienti sono stati divisi in tre gruppi in base all’attività fisica settimanale, valutata con il questionario del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES): altamente attivi, se seguivano il minimo consigliato dall’OMS o di più; poco attivi, se svolgevano un’attività fisica inferiore a quella consigliata dall’OMS; inattivi, se non svolgevano alcuna attività fisica.

In base a questa classificazione, 1.915 pazienti sono stati classificati come altamente attivi, 879 erano poco attivi e 1.714 erano inattivi. Durante un follow-up mediano di 686 giorni, 739 pazienti sono deceduti, 1.059 hanno sviluppato una malattia renale allo stadio terminale e 521 hanno avuto un evento cardiovascolare avverso maggiore. Tra questi vi erano l’infarto miocardico, l’ictus, l’ospedalizzazione per insufficienza cardiaca o la morte per malattie cardiovascolari. Il gruppo altamente attivo ha avuto la probabilità più bassa di sviluppare tutti questi esiti avversi, seguito dal gruppo dei soggetti poco attivi e da quello degli inattivi.

Un rischio di morte inferiore del 38%

I ricercatori hanno analizzato l’associazione tra attività fisica e risultati avversi dopo aver aggiustato per altri fattori che avrebbero potuto influenzare le relazioni, tra cui età, sesso, fumo, indice di massa corporea, pressione sanguigna, farmaci e altre condizioni come diabete, malattia coronarica e cancro.

Rispetto al gruppo inattivo, il gruppo altamente attivo aveva un rischio di morte inferiore del 38%, un rischio inferiore del 17% di malattia renale allo stadio terminale e un rischio inferiore del 37% di eventi cardiovascolari avversi maggiori. I benefici per la salute nel gruppo a bassa attività non hanno raggiunto la significatività statistica.

L’autore dello studio, il dottor Wei-Cheng Tseng del Taipei Veterans General Hospital e della National Yang-Ming University, ha osservato che la probabilità di eventi cardiovascolari non diminuiva ulteriormente una volta che l’attività superava il doppio del minimo dell’OMS. Ha detto: “Una quantità estrema di esercizio può indurre disturbi del ritmo cardiaco in quelli con malattie renali. Sembra quindi ragionevole evitare livelli molto alti per massimizzare i benefici e ridurre al minimo i rischi”.

Per esaminare l’impatto del cambiamento delle abitudini di esercizio abituali, l’attività è stata rivalutata sei mesi dopo la prima misurazione. I pazienti altamente attivi che nel tempo diventavano più sedentari presentavano un rischio doppio di morte ed eventi cardiovascolari rispetto a quelli che rimanevano molto attivi. Il dottor Tseng ha aggiunto: “Ciò evidenzia l’importanza di mantenere l’attività fisica tra i pazienti con malattie renali”.

 

 

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