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Eptinezumab nel trattamento dell’emicrania

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La cefalea in una stampa del 1819 di George Cruikshank.

Eptinezumab per via endovenosa, un anticorpo peptidico correlato al gene anti-calcitonina, è in grado di ridurre la durata dei sintomi dell’emicrania. Sono questi, in sintesi, i risultati di un recente studio pubblicato sul JAMA, in cui il farmaco è stato somministrato a soggetti con episodi moderati o gravi.

Gli autori precisano comunque che resta da valutare in modo mirato la fattibilità della somministrazione endovenosa del trattamento durante un attacco di emicrania e che sarà necessario il confronto con trattamenti alternativi.

Il trattamento dell’emicrania

Si stima che la cefalea di tipo tensivo colpisca circa 1,6 miliardi di persone in tutto il mondo, è il secondo disturbo più diffuso in assoluto. Il secondo tipo più diffuso di cefalea è l’emicrania, una condizione che colpisce circa il 12% della popolazione generale nei paesi occidentali e circa il 18% delle donne.

I disturbi della cefalea primaria sono sempre stati trattati con vari farmaci, allo scopo di trattare gli attacchi acuti o come terapia preventiva, per ridurre la frequenza, l’intensità e la durata degli attacchi. L’aderenza al trattamento preventivo per l’emicrania sembra però piuttosto scarsa.

Negli ultimi anni sono stati proposti molti nuovi farmaci per il trattamento dell’emicrania, grazie anche a una migliore comprensione della fisiopatologia di questa condizione. Tra le più recenti e promettenti vi sono i bloccanti del recettore per il peptide gene-correlato della calcitonina (CGRP) e gli anticorpi monoclonali contro il ligando CGRP o il suo recettore.

Non vanno comunque dimenticati i progressi ottenuti nel trattamento dell’emicrania con altri farmaci, quali

gli agonisti del recettore della serotonina, come i triptani, che agiscono favorendo la costrizione dei grandi vasi cranici e inibendo il rilascio dei neuropeptidi infiammatori dai terminali nervosi perivascolari del sistema del trigemino.

Eptinezumab

Eptinezumab, un anticorpo monoclonale che antagonizza i peptidi gene-correlati della calcitonina alfa e beta. È stato approvato dalla FDA, negli Stati Uniti, nel febbraio 2020. In Europa il suo utilizzo non è ancora stato approvato dall’EMA.

Il peptide gene-correlato della calcitonina fa parte della famiglia dei peptidi della calcitonina ed è presente in due forme: alfa e beta.

Questo peptide è prodotto nei neuroni periferici e in quelli del sistema nervoso centrale. Possiede un forte effetto vasodilatatore e intervenire anche come mediatore nella percezione del dolore.

Nel sistema vascolare trigemino, la fonte principale del peptide gene-correlato della calcitonina sono i corpi cellulari del ganglio trigemino. Questo peptide sembra agire anche nel cuore, facendo aumentare la frequenza cardiaca, probabilmente attraverso una modulazione del sistema neurovegetativo.

Uno studio di fase 3

Questo nuovo studio, di fase 3, multicentrico, a gruppi paralleli, in doppio cieco, randomizzato e controllato con placebo, aveva come obbiettivo quello di valutare l’efficacia e gli eventi avversi correlati a eptinezumab quando somministrato nel corso di un attacco di emicrania.

Sono stati inclusi soggetti con una storia di emicrania superiore a 1 anno, con episodi per 4-15 giorni al mese nei 3 mesi precedenti. Sono stati trattati durante un attacco di emicrania da moderato a grave con eptinezumab 100 mg o placebo, somministrati per via endovenosa, entro 1-6 ore dall’insorgenza dei sintomi.

Gli endpoint di efficacia co-primari erano il tempo necessario ad ottenere l’assenza di dolore da cefalea e il tempo necessario ad ottenere l’assenza del sintomo più fastidioso associato al dolore, quale nausea o fotofobia.

I partecipanti avevano un’età media di 44 anni e l’84% era di genere femminile.

Più velocemente liberi dal dolore

I pazienti trattati eptinezumab hanno raggiunto la libertà dal dolore in 4 ore, mentre quelli trattati con placebo hanno dovuto attendere 9 ore. Anche i sintomi più fastidiosi si sono risolti più rapidamente: in 2 ore nel gruppo in trattamento attivo e in 3 ore nei soggetti di controllo.

A 2 ore dall’inizio dell’infusione nei gruppi eptinezumab e placebo, la libertà dal dolore alla cefalea è stata raggiunta rispettivamente nel 23,5% e nel 12,0% dei casi. Parallelamente l’assenza dal sintomo più fastidioso è stata raggiunta nel 55,5% e 35,8% dei casi, rispettivamente. Un numero significativamente inferiore di pazienti trattati con eptinezumab ha utilizzato farmaci di salvataggio entro 24 ore rispetto ai pazienti trattati con placebo (31,5% vs 59,9%).

Per quanto riguarda la sicurezza del trattamento, eventi avversi si sono verificati nel 10,9% del gruppo eptinezumab e nel 10,3% del gruppo placebo. Il più comune tra questi era l’ipersensibilità al farmaco, ma non si sono verificati eventi avversi gravi.

Emicrania: una nuova alternativa di trattamento

Questo nuovo studio sembra prospettare una nuova alternativa terapeutica al trattamento dell’emicrania. Il suo vero limite è peraltro la via di somministrazione endovenosa, che non ne facilita certo l’utilizzo, soprattutto considerando l’importanza di un inizio precoce del trattamento.

A questo proposito va precisato che negli Stati Uniti eptinezumab è stato testato e approvato come trattamento preventivo dell’emicrania, con somministrazione endovenosa ogni tre mesi. I risultati ottenuti in questo studio sembrano però proporre effetti positivi anche nel trattamento degli attacchi acuti, riducendo il tempo necessario alla risoluzione dei sintomi.

 

Franco Folino

 

 

 

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