Home Astronomia I buchi neri supermassicci che si nutrono di meduse cosmiche

I buchi neri supermassicci che si nutrono di meduse cosmiche

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Una galassia-medusa nella visualizzazione tridimensionale ottenuta con lo strumento MUSE installato sul VLT (Very Large Telescope) dell'ESO. Crediti: ESO/GASP collaboration.

Alcune osservazioni delle “galassie medusa” con il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO hanno svelato un modo, prima sconosciuto, di alimentare i buchi neri supermassicci. Sembra che lo stesso meccanismo che produce i tentacoli di gas e stelle neonate che danno il nome a queste galassie renda anche possibile al gas di raggiungere le regioni centrali della galassia, alimentando il buco nero che si nasconde nel nucleo e facendolo risplendere luminoso. Il risultato di questo studio è stato pubblicato dalla rivista Nature.

Alcune osservazioni delle “galassie medusa” con il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO hanno svelato un modo, prima sconosciuto, di alimentare i buchi neri supermassicci. Sembra che lo stesso meccanismo che produce i tentacoli di gas e stelle neonate che danno il nome a queste galassie renda anche possibile al gas di raggiungere le regioni centrali della galassia, alimentando il buco nero che si nasconde nel nucleo e facendolo risplendere luminoso.
Questa fotografia di una delle galassie, chiamata JW100, ottenuta con llo strumento MUSE installato sul VLT dell’ESO in Cile, mostra chiaramente come la materia stia scorrendo fuori dalla galassia in lunghi tentacoli. Il rosso mostra la luce prodotta dall’idrogeno gassoso ionizzato, mentre le regioni bianche mostrano dove si trovano le stelle all’interno della galassia.
Crediti: ESO/GASP collaboration

Un gruppo di astronomi a guida italiana ha sfruttato lo strumento MUSE (Multi-Unit Spectroscopic Explorer) installato sul VLT (Very Large Telescope) dell’ESO all’Osservatorio del Paranal in Cile per studiare come si possa strappare gas alle galassie. Gli astronomi si sono concentrati su alcuni esempi estremi di galassie-medusa in ammassi di galassie vicini. Il soprannome proviene dai lunghi “tentacoli” di materia che si estendono per decine di migliaia di anni luce al di là del disco galattico.

Una galassia-medusa nella visualizzazione tridimensionale ottenuta con lo strumento MUSE installato sul VLT (Very Large Telescope) dell’ESO. Viene combinata la normale veduta bidimensionale con la terza dimensione della lunghezza d’onda. Questa galassia, muovendosi rapidamente nel gas caldo dell’ammasso di galassie, ha subito la rimozione del gas a causa alla pressione d’ariete e flussi di gas e giovani stelle vengono lasciati indietro. Appaiono come tentacoli che estendono verso la destra nell’immagine poichè hanno velocità diverse rispetto al disco principale della galassia, a sinistra.
Crediti: ESO

I tentacoli delle galassie-medusa sono prodotti negli ammassi di galassie da un processo che vede la rimozione del gas dovuta alla pressione d’ariete (detto ram pressure stripping, in inglese). L’attrazione gravitazionale induce le galassie a cadere ad alta velocità verso l’ammasso di galassie, ove incontrano un gas denso e caldo che agisce come un vento potente, forzando il gas fuori dal disco della galassia sotto forma di code e dando quindi inizio a un episodio di formazione di stelle al loro interno.

Sei delle sette galassie-medusa dello studio ospitano un buco nero supermassiccio al centro, che si nutre del gas circostante. Questa frazione è inaspettatamente alta – tra le galassie in generale, infatti, la frazione è meno di una su dieci.

“Questo forte legame tra la pressione d’ariete e i buchi neri attivi non era previsto e non è mai stato segnalato prima” commenta Bianca Poggianti dell’INAF-Osservatorio di Padova in Italia, a capo del progetto. “Sembra che il buco nero centrale si alimenti poiché parte del gas, invece di essere rimosso, raggiunge il centro della galassia.”

Una questione irrisolta, di vecchia data, è scoprire il motivo per cui solo una piccola frazione di buchi neri supermassicci al centro delle galassie siano attivi. Essi sono presenti all’interno di quasi tutte le galassie, e perciò, perché solo alcuni accrescono materia e risplendono ad altissima luminosità? Questi risultati svelano un meccanismo sconosciuto che potrebbe alimentare il buco nero.

Yara Jaffé, una borsista dell’ESO che ha contribuito al lavoro pubblicato, ne spiega l’importanza. “Queste osservazioni con MUSE suggeriscono un nuovo meccanismo per incanalare il gas nelle vicinanze del buco nero. Questo risultato è fondamentale perché fornisce un nuovo pezzo del puzzle dei legami, ancora poco conosciuti, tra il buco nero supermassiccio e la galassia ospite”.

Le osservazioni attuali fanno parte di uno studio molto più esteso di molte galassie-medusa attualmente in corso.

 

 

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