
La scoperta rivoluzionaria è stata annunciata nei giorni scorsi con una serie di sei articoli, pubblicati in un numero speciale di The Astrophysical Journal Letters. L’immagine rivela il buco nero al centro di Messier 87, una galassia massiccia nel vicino ammasso di galassie della Vergine. Il buco nero si trova a 55 milioni di anni luce dalla Terra e ha una massa pari a 6,5 miliardi di volte quella del Sole.
L’ombra di un buco nero, come quella mostrata nella foto in evidenza, è la cosa più vicina a un’immagine del buco nero stesso, un oggetto completamente oscuro da cui nemmeno la luce può sfuggire, a cui possiamo aspirare. Il confine di questo buco nero, l’orizzonte degli eventi, è circa 2,5 volte più piccolo dell’ombra che proietta e misura poco meno di 40 miliardi di km. Anche se questo può sembrare un numero molto grande, questo anello ha una dimensione di circa 40 microarcsecondi – equivalente a misurare la lunghezza di una carta di credito sulla superficie della Luna.
L’Event Horizon Telescope
L’Event Horizon Telescope (EHT) collega telescopi in tutto il mondo per formarne uno virtuale senza precedenti, di dimensioni pari a quelle della Terra. L’EHT offre agli scienziati un nuovo modo di studiare gli oggetti più estremi dell’Universo previsti dalla relatività generale di Einstein, proprio nel centenario dell’esperimento storico che per primo ne ha confermato le teorie.
“Abbiamo catturato la prima immagine di un buco nero”, ha commentato il direttore del progetto EHT Sheperd S. Doeleman del Center for Astrophysics di Harvard & Smithsonian. “Questa è una straordinaria impresa scientifica realizzata da una squadra di oltre 200 ricercatori”.
I buchi neri
I buchi neri sono straordinari oggetti cosmici con enormi masse, ma dimensioni relativamente compatte. La presenza di questi oggetti influenza il loro ambiente in modi estremi, deformando lo spazio-tempo e surriscaldando la materia circostante.
La caratteristica principale del buco è che possiede una forza gravitazionale così forte che nulla, neppure particelle e radiazioni elettromagnetiche come la luce, possono sfuggirgli. La teoria della relatività generale di Einstein, prevede che una massa sufficientemente compatta possa deformare lo spazio-tempo per formare un buco nero.

Crediti: ESO
“Se è immerso in una regione brillante, come un disco di gas incandescente, ci aspettiamo che un buco nero crei una regione scura simile a un’ombra – ciò è previsto dalla relatività generale di Einstein, ma non l’abbiamo mai visto prima”, ha spiegato il presidente del Consiglio scientifico dell’EHT Heino Falcke della Radboud University, Paesi Bassi. “Questa ombra, causata dalla deviazione gravitazionale e dalla cattura della luce dall’orizzonte degli eventi, ci può rivelare informazioni utili sulla natura di questi oggetti affascinanti e ci ha permesso di misurare l’enorme massa del buco nero di M87”.
Numerose tecniche di calibrazione e di produzione delle immagini hanno rivelato una struttura ad anello con una regione centrale scura – l’ombra del buco nero – un risultato persistente su più osservazioni EHT indipendenti.
Dalle ipotesi teoriche alla realtà
“Quando siamo stati sicuri di aver catturato l’ombra, abbiamo potuto confrontare i nostri risultati con una vasta libreria di modelli a computer che includono la fisica dello spazio deformato, della materia super-riscaldata e dei campi magnetici molto intensi. Molte caratteristiche dell’immagine osservata corrispondono nel dettaglio alle nostre ipotesi teoriche”, osserva Paul T.P. Ho, membro del consiglio di amministrazione di EHT e direttore dell’Osservatorio dell’Asia orientale “Ciò ci rende fiduciosi sull’interpretazione delle nostre osservazioni, compresa la stima della massa del buco nero”.
“Il confronto tra teoria e osservazioni è sempre un momento drammatico per un teorico: è stato un sollievo ma anche una fonte di orgoglio rendersi conto che le osservazioni combaciavano perfettamente con le nostre previsioni”, ha commentato Luciano Rezzolla, della Goethe Universität, in Germania, membro del consiglio di amministrazione dell’EHT.
Un progetto internazionale
Lo sviluppo dell’EHT è stata una sfida formidabile che ha richiesto l’aggiornamento e il collegamento di una rete mondiale di otto telescopi preesistenti dispiegati in una varietà di siti ad alta quota, per nulla facili da gestire. Queste località includevano vulcani in Hawaii e in Messico, picchi in Arizona e nella Sierra Nevada spagnola, il deserto cileno di Atacama e l’Antartide.
Le osservazioni di EHT utilizzano una tecnica chiamata interferometria a lunghissima base (VLBI) che sincronizza i telescopi in tutto il mondo e sfrutta la rotazione del nostro pianeta per formare un enorme telescopio, di dimensioni pari a quella della Terra, che osserva a una lunghezza d’onda di 1,3 mm. Il VLBI consente all’EHT di raggiungere una risoluzione angolare di 20 micro-secondi d’arco – sufficiente per leggere un giornale a New York seduti in un bar a Parigi.
I telescopi che hanno contribuito a questo risultato sono stati ALMA, APEX, il telescopio IRAM da 30 metri, il James Clerk Maxwell Telescope, il Large Millimeter Telescope Alfonso Serrano, il Submillimeter Array, il Submillimeter Telescope e il South Pole Telescope. Petabyte di dati grezzi dai telescopi sono stati combinati da supercomputer altamente specializzati ospitati negli istituti Max Planck Institute for Radio Astronomy e MIT Haystack Observatory.
La partecipazione europea
Le strutture e i finanziamenti europei hanno svolto un ruolo cruciale in questo sforzo mondiale, con la partecipazione di telescopi europei avanzati e il sostegno del Consiglio europeo della ricerca, in particolare con una sovvenzione di 14 milioni di euro per il progetto BlackHoleCam. Anche il supporto di ESO, IRAM e Max Planck Society è stato fondamentale. “Questo risultato si basa su decenni di esperienza europea nell’astronomia millimetrica”, ha commentato Karl Schuster, direttore dell’IRAM e membro del consiglio di amministrazione dell’EHT.
La costruzione dell’EHT e le osservazioni annunciate oggi rappresentano il culmine di decenni di lavoro osservativo, tecnico e teorico. Questo esempio di lavoro di squadra globale ha richiesto una stretta collaborazione da parte di ricercatori di tutto il mondo. Tredici istituzioni partner hanno collaborato per creare l’EHT, utilizzando sia infrastrutture preesistenti che il supporto di varie agenzie. Il finanziamento principale è stato fornito dalla US National Science Foundation (NSF), dal Consiglio europeo della ricerca (ERC) e dalle agenzie di finanziamento in Asia orientale.