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COVID-19: gli effetti deludenti dei farmaci antivirali

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Mentre i vaccini stanno fornendo risultati sempre più promettenti per la prevenzione della malattia COVID-19, notizie non altrettanto buone arrivano dal campo degli antivirali, quei farmaci che dovrebbero combattere il virus una volta che l’infezione è iniziata.

In un’analisi ad interim dello studio SOLIDARITY, farmaci quali remdesivir, idrossiclorochina, lopinavir e interferone hanno infatti dimostrato scarsi effetti nei pazienti ricoverati per COVID-19. I primi risultati di questa ricerca, promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono stati pubblicati nei giorni scorsi sulla rivista New England Journal of Medicine.

Farmaci antivirali e COVID-19

Fin dalla prima identificazione del virus responsabile della malattia COVID-19, denominato SARS-CoV-2, è iniziato l’uso empirico di differenti farmaci antivirali, cercando di combattere le forme più gravi della malattia. Vista la somiglianza di questo virus con altri già noti per aver causato recenti epidemie, sono stati adottati per primi farmaci antivirali che in quelle occasioni avevano dimostrato una qualche efficacia nella cura dei malati. Tra questi, i più utilizzati sono stati il remdesivir, l’idrossiclorochina e il lopinavir-ritonavir.

Scopo di questi farmaci antivirali è quello di combattere direttamente il virus, attraverso due meccanismi principali. Il primo consiste nel colpire direttamente SARS-CoV-2, inibendo l’enzima virale responsabile della replicazione del suo genoma o bloccando l’ingresso del virus nelle cellule. Il secondo si basa sulla modulazione del sistema immunitario dell’uomo, potenziando la sua risposta o inibendo i processi infiammatori che possono portare, nel caso del virus SARS-CoV-2, danni ai polmoni.

Remdesivir è un farmaco che è stato sviluppato contro l’infezione da virus Ebola, ma ha dimostrato di essere potenzialmente efficace anche contro altri virus. Tra questi il SARS-CoV, responsabile della sindrome respiratoria acuta grave e identificato per la prima volta nel 2003 in Cina, e il MERS-CoV, il virus responsabile della sindrome respiratoria del Medio Oriente, trasferito all’uomo da dromedari infetti. Agisce interferendo con l’RNA virale.

Lopinavir è invece un inibitore selettivo di un enzima virale, mentre ritonavir è un inibitore di un enzima epatico. La loro combinazione sembra migliorare l’efficacia clinica del lopinavir, evidenziando buoni effetti nel trattamento dei virus SARS-CoV e MERS-CoV.

La clorochina fosfato è un farmaco ampiamente utilizzato contro la malaria e le malattie autoimmuni, con un potenziale effetto antivirale ad ampio spettro. Studi in vitro hanno dimostrato che la clorochina può inibire efficacemente SARS-CoV-2.

L’idrossiclorochina è un derivato della clorochina con meccanismo d’azione simile, ma minore tossicità e migliore sicurezza. Si è dimostrata più potente della clorochina nell’inibire in vitro il virus SARS-CoV-2.

Lo studio SOLIDARITY

Fino ad oggi erano stati pubblicati differenti studi sull’impiego dei farmaci antivirali nei pazienti con COVID-19, ma i risultati sono controversi e, soprattutto, avevano il limite di essere stati condotti su piccoli campioni o retrospettivi. Serviva quindi un trial clinico, randomizzato, condotto su un vasto campione di malati. Per questa ragione l’OMS ha promosso lo studio SOLIDARITY.

Questo studio internazionale è stato avviato nel marzo del 2020 l’OMS. Si tratta di una sperimentazione con un disegno in aperto, randomizzato, condotto in pazienti ricoverati per COVID-19, al fine di valutare gli effetti di remdesivir, idrossiclorochina, lopinavir e interferone beta-1a sulla mortalità ospedaliera. Per questa ricerca sono stati arruolati pazienti adulti recentemente ricoverati, o già ricoverati, con diagnosi confermata di malattia.

I soggetti selezionati sono stati assegnati in modo casuale a due tipi di trattamento. Il primo prevedeva semplicemente le cure standard utilizzate solitamente nel centro dove era ricoverato il paziente. Il secondo trattamento prevedeva le cure standard del centro e in più un trattamento con uno dei seguenti farmaci: remdesivir, clorochina, idrossiclorochina, lopinavir con ritonavir e lopinavir con ritonavir più interferone.

L’endpoint principale dello studio è stato quello di valutare gli effetti sulla mortalità intraospedaliera. Gli endpoint secondari hanno valutato in quanti pazienti veniva iniziata una ventilazione meccanica e la durata del ricovero.

Fino ad ottobre 2020, momento nel quale è stata sviluppata l’analisi ad interim, erano stati reclutati 11.330 pazienti da 405 ospedali, distribuiti in 30 paesi nel mondo (61% Asia e Africa, 22% Europa e Canada, 17% America Latina)

Nessun effetto dei farmaci antivirali

La maggioranza dei pazienti inclusi nello studio (45%) aveva un’età compresa tra 50 e 69 anni. Il 35% dei pazienti aveva un’età inferiore ai 50 anni.

Al momento dell’arruolamento, la maggioranza di loro veniva già trattata con ossigenoterapia (63%), ma solo l’8% era ventilato, mentre il 29% non riceveva alcuni tipo di ossigeno. D’altra parte, il 78% presentava lesioni polmonari bilaterali.

In base alle procedure di randomizzazione, 2.750 pazienti sono stati assegnati a ricevere remdesivir, 954 a idrossiclorochina, 1.411 a lopinavir senza interferone, 1.412 a interferone, 651 a interferone più lopinavir e 4.088 a nessun farmaco sperimentale.

Nel corso dello studio sono stati registrati 1.253 decessi. La mortalità a 28 giorni è stata dell’11,8%, variando dal 39% per i pazienti che stavano già ricevendo una ventilazione al momento della randomizzazione, al 9,5% per gli altri.

Come dicevamo, i risultati dello studio sono stati particolarmente deludenti. Nessuno dei farmaci valutati nello studio ha avuto alcun effetto sulla mortalità, sia nel complesso dei pazienti studiati, sia in qualsiasi dei sottogruppi analizzati. Allo stesso modo, nessun farmaco ha ridotto il numero di pazienti che necessitavano di una ventilazione e neppure la durata del ricovero.

Lo studio SOLIDARITY continua

Il fatto che la stessa OMS abbia promosso questa vasta sperimentazione sui farmaci antivirali testimonia quanto siano ancora pochi i dati affidabili sui farmaci impiegati per combattere il virus SARS-CoV-2.

Disporre di vaccini efficaci è di estrema importanza per prevenire il diffondersi della malattia, ma nel caso si sviluppi, è altrettanto fondamentale disporre di strumenti adeguati a contenerne gli effetti.

Nel caso di COVID-19 i risultati sembrano però decisamente sconfortanti. In questa analisi ad interim, questo nuovo studio ha dimostrato che regimi terapeutici con remdesivir, idrossiclorochina, lopinavir e interferone hanno avuto un effetto minimo o nullo sui pazienti ospedalizzati con Covid-19. Non sono riusciti a modificare la mortalità, l’inizio della ventilazione meccanica e neppure la durata della degenza ospedaliera.

Il SOLIDARITY trial è comunque ancora in corso e sta reclutando ulteriori soggetti, ad una media di 2.000 pazienti al mese. Sulla base dei risultati ottenuti fino ad ottobre 2020, farmaci poco promettenti come idrossiclorochina, lopinavir e l’interferone sono stati  eliminati dalla sperimentazione, ma in futuro ne verranno aggiunti altri, come gli anticorpi monoclonali.

Raccogliendo un maggior numero di dati, ed estendendo il periodo di follow-up, potranno presto arrivare nuove indicazioni sui farmaci utilizzati nei centri ospedalieri di tutto il mondo. Saranno inoltre disponibili in futuro preziose informazioni sulle reazioni avverse a questi farmaci e sulle loro interazioni con altri medicinali.

Tutte le nuove informazioni fornite dallo studio SOLIDARITY, e da una serie corposa di altri studi in corso su COVID-19, contribuiranno a comporre un quadro chiaro e preciso di quali sono i trattamenti davvero efficaci nel contenere la diffusione e l’evoluzione clinica della malattia.

 

Franco Folino

 

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