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L’efficacia delle statine nel trattamento di alcuni tumori

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Signal transduction pathways. cybertory/wikimedia commons

Da molto tempo ormai si susseguono osservazioni che indicano come le statine siano efficaci nel trattamento di alcune neoplasie. Un recente lavoro pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine non solo conferma questa ipotesi ma ne dimostra anche un possibile meccanismo di azione.

Le statine restano tra i farmaci più consumati in Italia. Da sole rosuvastatina e atorvastatina rappresentano oltre il 4% della spesa sanitaria complessiva (dati AIFA 2016). La loro fortuna si deve ai numerosi studi che hanno dimostrato la loro efficacia nel ridurre gli eventi cardiovascolari, sia in prevenzione primaria che secondaria, ma anche ad una progressiva estensione delle indicazioni al loro uso e a una graduale riduzione dei valori target terapeutici di colesterolo.

Già lo scorso anno avevamo pubblicato un articolo, su una sperimentazione che aveva dimostrato un effetto terapeutico delle statine sul carcinoma del colon. Da allora altri studi si sono susseguiti in questo campo, evidenziando effetti positivi di questi farmaci sul cancro dell’ovaio e dell’endometrio, ed effetti scarsi, o addirittura peggiorativi, sulle neoplasie polmonari, sul carcinoma pancreatico e sul carcinoma prostatico.

Questa nuova sperimentazione, condotta da un gruppo di ricercatori statunitensi, ha puntualizzato il fatto che spesso l’efficacia della terapia con statine nel trattamento delle neoplasie, era stata evidenziata quando queste venivano somministrate in associazione ad altri farmaci antitumorali.

Partendo da questa considerazione è stato quindi dimostrato come l’inibizione della 3-idrossi-3-metilglutaril coenzima A reduttasi, indotta dalle statine, migliori l’attività di venetoclax, un farmaco utilizzato per il trattamento della leucemia linfatica cronica, nei confronti delle cellule primarie di leucemia e linfoma ma non in normali cellule mononucleate del sangue periferico umano.

Questa molecola agisce come un inibitore della proteina anti-apoptotica BCL-2, una sostanza che regola la permeabilità della membrana mitocondriale esterna, agendo sia come pro-apoptotico, sia come anti-apoptotico, controllando quindi in qualche modo la morte cellulare.

Il gene BCL-2 risulta coinvolto in numerose neoplasie tra le quali il melanoma, il cancro al seno, alla prostata e ai polmoni, ma è stato proposto un suo ruolo rilevante anche nei fenomeni di resistenza dei tumori ai farmaci antineoplastici.

Gli sperimentatori hanno inoltre evidenziato come le statine, bloccando la produzione di mevalonato, sopprimevano il processo di geranilgeranilazione delle proteine, causando una conseguente up-regulation di un altro modulatore dell’apoptosi cellulare.

Oltre a questi risultati ottenuti in un modello animale, gli autori hanno compiuto un’analisi retrospettiva su tre diversi studi clinici che hanno valutato gli effetti di venetoclax sulla leucemia linfatica cronica, evidenziando come l’uso di statine si sia associava a una maggiore risposta terapeutica al farmaco antineoplastico.

Queste prospettive su potenziali nuove indicazioni terapeutiche per le statine in ambito oncologico sono ancora tutte da chiarire e confermare. Vanno innanzitutto identificati con precisione i possibili meccanismi di azione, per poter stabilire quali sono le neoplasie in cui questi farmaci potrebbero agire in modo favorevole. Certo è che vi sono ormai così tanti riscontri positivi da giustificare l’inizio di specifici studi clinici randomizzati e controllati che possano fornire risultati certi e sicuri.

 

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Scott Lee, et al. Statins enhance efficacy of venetoclax in blood cancers. Science Translational Medicine 13 Jun 2018:Vol. 10, Issue 445.

 

 

 

 

 

 

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