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Aspirina e protezione con antagonisti H2 o PPI: nessuna differenza nei sanguinamenti gastrointestinali

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Il numero di pazienti che assumono aspirina per ridurre il rischio di eventi cardiovascolari è molto alto ed in costante ascesa. Stime OsMED/AIFA indicano che sono tra i più consumati dopo i farmaci anti-ipertensivi e le statine; il 4,5% di tutti i medicinali acquistati quotidianamente.

A questo si accompagna un altrettanto diffuso utilizzo in associazione di farmaci antisecretori, ed in particolare di inibitori di pompa protonica, noti come PPI, a volte anche a dosi ingiustificatamente elevate. Ma l’utilizzo di questi farmaci non è scevro da rischi e non sono pochi gli studi che hanno evidenziato potenziali effetti avversi per un uso prolungato di queste molecole (leggi articolo su PPI e rischio di nefropatia in altra parte del giornale).

Al contrario è andato via via riducendosi in modo drastico il consumo dei predecessori dei PPI ovvero gli inibitori del recettore H2 per l’istamina, farmaci più datati, ma che hanno rappresentato una svolta decisiva per il trattamento delle lesioni ulcerose di stomaco e duodeno.

Nel numero di gennaio di Gastroenterology, viene pubblicato ora un lavoro che ha analizzato le differenze, in termini di incidenza di sanguinamenti, tra un trattamento con PPI o con H2 inibitori, in pazienti che assumevano Aspirina a basse dosi ed erano a rischio di sanguinamento.

I gruppi di trattamento sono stati così due: aspirina (80mg/die) più famotidina (40mg/die); aspirina (80mg/die) più rabeprazolo (20mg/die). Il follow-up è durato un anno; i pazienti studiati sono stati complessivamente 270.

L’incidenza cumulativa di sanguinamento gastrointestinale del tratto superiore è stata dello 0,7% nel gruppo rabeprazolo e del 3,1% nel gruppo famotidina. L’incidenza cumulativa di sanguinamento del tratto gastrointestinale inferiore è stata 1,5% nel gruppo rabeprazolo e 1,6% nel gruppo famotidina. Eventi cardioembolici si sono verificati in due pazienti (1,5%) trattati con rabeprazolo e in cinque trattati con famotidina (4%).

Questi risultati indicano quindi che pazienti a rischio di sanguinamento gastrointestinale, trattati con aspirina e protetti con PPI o H2antagonisti, hanno eventi di sanguinamento sostanzialmente simili.

Si tratta di un importante riscontro, che rivaluta l’uso dei H2 antagonisti e che potrebbe influenzare le direttive delle prossime linee guida sull’argomento.

Un maggiore utilizzo di questi farmaci, a discapito dei PPI, potrebbe portare, da un lato ad una riduzione degli eventi avversi ipotizzati a carico dei più recenti antisecretori, dall’altro ad un considerevole risparmio per le casse della sanità pubblica.

Va peraltro considerato che la popolazione studiata era giapponese e non è stata particolarmente consistente. Al tempo stesso il numero di eventi relativamente registrati è risultato molto ridotto.

Aspettiamo quindi studi su popolazioni più vaste, su popolazioni caucasiche, e con follow-up più lunghi, per avere ulteriori conferme a favore dei H2 antagonisti.

 

 

 

Chan FKL, et al. Similar Efficacy of Proton-Pump Inhibitors vs H2-Receptor Antagonists in Reducing Risk of Upper Gastrointestinal Bleeding or Ulcers in High-Risk Users of Low-Dose Aspirin. Gastroenterology 2017;152:105–110.

 

 

 

 

 

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