Home Cardiologia Dalla stratificazione del rischio genetico al trattamento: è il momento di agire

Dalla stratificazione del rischio genetico al trattamento: è il momento di agire

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Sono diversi anni ormai che sono state affinate metodologie, semplici e dai costi contenuti, per sequenziare il DNA umano e ottenere quindi precise informazioni su specifici geni. Allo stesso tempo numerose sperimentazioni hanno portato ad identificare alterazioni genetiche, responsabili delle più differenti patologia, trasmissibili o non trasmissibili. Metodi ed informazioni sono quindi disponibili ed affidabili e vanno ora applicate a programmi ben definiti per intervenire sulla popolazione e contrastare lo sviluppo clinico della malattia e le sue conseguenze.

In questo contesto, ed in particolare sull’ipercolesterolemia familiare, arriva un lavoro pubblicato sulle pagine di Science, che analizza le sequenze di oltre 50.000 americani.

L’ipercolesterolemia familiare

L’ipercolesterolemia familiare è caratterizzata da livelli elevati di colesterolo LDL ed è di conseguenza gravata da un rischio elevato di malattie cardiovascolari. La sua prevalenza è di 1:200-250. Elemento caratteristico sono gli Xantomi, presenti attorno alle palpebre e nei tendini di gomiti, mani, ginocchia e piedi. I pazienti non trattati hanno un rischio del 50% di avere un evento coronarico fatale o non fatale, proiettato all’età di 50 anni; per le donne non trattate il rischio è del 30% all’età di 60 anni. Si stima che circa il 70-95% di questi pazienti siano eterozigoti per una variante patogena di uno dei tre geni coinvolti (APOB, LDLR, PCSK9). L’ipercolesterolemia familiare omozigote è al contrario una variante patogena biallelica. La maggior parte di questi individui ha un infarto miocardico in giovane età ed hanno un rischio elevato di morte e di intervento chirurgico di bypass coronarico.

Lo studio

Lo studio apparso su Science analizza il database “MyCode Community Health Initiative of Geisinger Health System”, che ha sequenziato il genoma di 50.726 individui. Tra i partecipanti in cui era disponibile il profilo lipidico, 4.435 (10.4%) aveva un’ipercolesterolemia grave, con un LDL-C massimo ≥ 190 mg/dl; 27.402 pazienti (54.0%) erano in trattamento con statine. Le analisi hanno considerato le tre varianti geniche che codificano il recettore per le LDL (LDLR), la variante apolipoproteina B (APOB) e la variante proteina convertasi subtilisina/Kexina tipo 9 (PCSK9).

Tra i soggetti sequenziati, sono stati identificati 229 portatori eterozigoti di una delle 35 varianti geniche osservate per l’ipercolesterolemia familiare. Al contrario non sono stati registrati casi di malattia omozigote. Tra i partecipanti al registro, 6.747 erano stati reclutati in un laboratorio di emodinamica cardiaca; tra questi la prevalenza di ipercolesterolemia familiare è risultata di 1:118. Nel complesso dell’analisi, le due varianti più frequentemente riscontrate sono state la LDLR (42,8%) e la APOB (44,5%); meno frequente è stata la PCSK9 (12,7%).

I risultati

I portatori di qualsiasi variante avevano un livello di colesterolo LDL maggiore di 69 mg/dl rispetto ai non portatori. I valori massimi di LDL erano significativamente più alti nei portatori di variante LDLR (240,3 mg/dl) rispetto ai portatori di APOB (178 mg/dl) o PCSK9 (155 mg/dl). Gli individui con una variante per ipercolesterolemia familiare avevano un rischio aumentato di cardiopatia coronarica (OR 2.6) e questo era maggiore nei portatori di LDLR. Tra i 4.150 pazienti con cardiopatia coronarica precoce (≤55 anni nei maschi e ≤65 anni nelle femmine), 53 hanno evidenziato una variante per l’ipercolesterolemia familiare, indicando una prevalenza di 1:78.

Un dato interessante che emerge dall’analisi è che solo il 15.3% dei pazienti con una variante genica per l’ipercolesterolemia familiare aveva ricevuto una diagnosi di malattia. Circa l’80,5% dei pazienti portatori di varianti erano trattati con ipolipemizzanti. Tra i 106 pazienti portatori di variante e con livelli di LDL disponibili (entro 12 mesi dello studio), solo il 38,7% aveva un livello di LDL inferiore al valore raccomandato di 100 mg/dl.

Abbiamo gli strumenti per fronteggiare molte delle patologie geneticamente determinate

In sostanza questi dati sono una chiara espressione di una sconfitta sanitaria a tutto campo: i pazienti con ipercolesterolemia familiare, almeno nella forma eterozigote, non sono poi così pochi; non sono diagnosticati in modo precoce e corretto e quindi non sono trattati con farmaci specifici; molti dei pazienti che assumono farmaci ipolipemizzanti non sono trattati in modo adeguato.

L’ipercolesterolemia familiare sembra il prototipo di patologia a carattere genetico che può beneficiare di un programma sanitario mirato che consenta la diagnosi di malattia e un intervento terapeutico appropriato.

Forse dovrà passare molto tempo prima che questo accada, ma è giunto senza dubbio il momento che i progressi fatti in questi anni nel campo della genetica siano applicati alla pratica clinica con maggiore convinzione.

 

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Abul-Husn NS, et al. Genetic identification of familial hypercholesterolemia within a single U.S. health care system.  Science  23 Dec 2016;354. LIBERO ACCESSO

 

 

 

 

 

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