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Un dilatatore meccanico del seno carotideo per l’ipertensione arteriosa resistente

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Per i pazienti con ipertensione arteriosa resistente alla terapia farmacologica si prospetta una possibile soluzione non farmacologica. Uno studio, pubblicato online sul The Lancet, ha evidenziato come l’utilizzo di un dispositivo endovascolare, applicato a livello dei barocettori carotidei, consenta di ridurre la pressione arteriosa incrementandone la loro sensibilità.

I barocettori carotidei sono dei recettori che percepiscono forze meccaniche di stiramento e rispondono inducendo la trasmissione di segnali afferenti, attraverso il nervo glossofaringeo, che raggiungono il tratto del nucleo solitario. Il riflesso evocato causa una riduzione della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca. Questi barocettori, costantemente attivi e adattati al carattere pulsatile del flusso sanguigno, agiscono allo scopo di mantenere costante la pressione arteriosa. Così, in caso di riduzione, inducono un aumento dell’attività simpatica, con conseguente vasocostrizione arteriosa periferica e incremento della frequenza cardiaca. Al contrario, se la pressione incrementa eccessivamente, inibiscono il drive simpatico per riportarla nella normalità. I barocettori non sono esclusivi della parete carotidea, ma si possono trovare anche in altri distretti arteriosi e venosi, così come nelle cavità cardiache.

Questo nuovo studio, frutto di una collaborazione tra centri statunitensi ed europei, ha utilizzato un dispositivo (Mobius HD, Vascular Dynamics, Mountain View, CA, USA) appositamente progettato per essere inserito nella carotide per via percutanea. Si tratta in sostanza di un dilatatore metallico che viene posizionato a livello del seno carotideo (vedi ulteriori informazioni sul dispositivo, con video esplicativo, sul sito dell’azienda produttrice) attraverso un apposito catetere introduttore e avrebbe lo scopo di rendere maggiormente sensibili i meccanocettori di questo territorio attraverso la loro distensione anatomica.

 

I pazienti inclusi nello studio avevano un’ipertensione resistente, in trattamento con almeno tre farmaci, incluso un diuretico.  Avevano inoltre una pressione sistolica, misurata in ambulatorio di almeno 160mmHg, una pressione sistolica media all’Holter maggiore di 130mmHg e una pressione diastolica media all’Holter almeno di 80mmHg.

L’endpoint primario dello studio è stato indirizzato alla sicurezza della procedura, comprendendo gli eventi avversi seri in un follow-up di sei mesi. Sullo stesso periodo è stato valutato anche l’endpoint secondario, che includeva i cambiamenti dei valori pressori all’Holter e alla misurazione ambulatoriale, nonché le modifiche della terapia farmacologica.

Dei 30 pazienti arruolati, il dispositivo è stato impiantato nella carotide interna destra in 19 casi e in quella sinistra in 11.

Gli eventi avversi seri registrati sono stati: due casi di ipotensione ortostatica, due casi di peggioramento dell’ipertensione, un caso di claudicatio e un caso di infezione della ferita.

Per quanto riguarda i valori pressori, questi si sono ridotti dopo le prime 24 ore dall’impianto mediamente di 38/23mmHg. Anche nel corso del follow-up la riduzione persisteva con valori medi di: 27/14mmHg a una settimana, 22/10mmHg a un mese, 24/11mmHg a tre mesi, 24/12mmHg a sei mesi. I valori assoluti ottenuti erano significativamente inferiori a quelli registrati alla visita basale.

I risultati sembrano quindi molto promettenti e il profilo di sicurezza accettabile, ma siamo solo ai primi passi per questo nuovo dispositivo e pesano ancora molti aspetti che andranno chiariti. La limitazione più importante di questo studio è ovviamente quella della mancanza di un braccio di controllo, che permetta di escludere un effetto placebo della procedura. Questo inconveniente sarà però presto superato da due studi già programmati, il CALM-START e il CALM-II, che prevedono un disegno randomizzato, in doppio cieco, sham-controlled.

Il secondo aspetto che andrà maggiormente approfondito è la persistenza dei risultati nel lungo termine. Sappiamo infatti come i riflessi omeostatici neuromediati abbiano delle dinamiche adattative, che si realizzano a livello del sistema recettoriale stesso, così come a livello centrale. Ci si potrebbe quindi attendere, nel lungo termine, un adeguamento del traffico nervoso alla nuova situazione anatomica, con una conseguente riduzione dell’efficacia del dispositivo.

Sempre nel lungo termine, andranno valutati anche gli effetti avversi della procedura sui barocettori.

 

Franco Folino

 

Cover image volume 390, Issue 10099

 

Wilko Spiering, et al. Endovascular baroreflex amplification for resistant hypertension: a safety and proof-of-principle clinical study. The Lancet, Published Online September 1, 2017.

 

 

 

 

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