Le tachicardiomiopatie sono un gruppo di malattie cardiache definite da una riduzione della funzione ventricolare, reversibile, indotta da un’aritma persistente a frequenza cardiaca elevata.
Per molto tempo si è discusso di questa patologia nei termini del dilemma “nasce prima l’uovo o la gallina?”. Ovvero è l’aritmia che produce alterazioni miocardiche o viceversa? In realtà sembra ormai certo che è proprio l’aritmia a indurre la riduzione di performance ventricolare o quantomeno a mettere in risalto un’alterazione che non si evidenziava ad una frequenza cardiaca normale.
Nella definizione di queste malattie è stata determinante l’evoluzione dell’imaging cardiaco, in particolare con l’impiego della risonanza magnetica, che ha permesso di caratterizzare con precisione, in modo non invasivo, la struttura del miocardio.
Sul giornale Heart è stato recentemente pubblicato un articolo, di libero accesso, che riassume in modo semplice e chiaro questo argomento, confrontando aspetti fisiopatologici e clinici. Gli autori sono due cardiologi londinesi che lavorano presso il Dipartimento di Cardiologia del Barts Health NHS Trust.