Lo scorso 3 luglio la rivista JAMA ha pubblicato una interessante review sull’endocardite infettiva. Gli autori, della Duke University, hanno così affrontato un tema tanto importante quanto spinoso, cercando di discutere tutti gli aspetti connessi a questa malattia, analizzando la letteratura, dalla profilassi, alla gestione chirurgica, agli antibiotici specifici e alla durata del trattamento.
L’articolo inizia costatando come l’incidenza di endocardite infettiva sia in continuo aumento, in particolare quella di tipo comunitario, nei paesi a basso reddito. Viene poi messo in risalto come un numero crescente di casi colpisce soggetti anziani portatori di stimolatori cardiaci, ma anche in soggetti giovani che fanno uso di droghe per via endovenosa.
Per quanto riguarda gli agenti infettivi coinvolti, lo Staphylococcus aureus si conferma come l’agente eziologico più comune nei paesi ad alto reddito, rappresentando fino al 40% dei casi.
Vengono quindi passati in rassegna i metodi utilizzati nella diagnosi di malattia, con particolare riguardo a l’imaging ultrasonografico e nucleare.
Non poteva mancare una parte dedicata alla resistenza agli antibiotici, che da un lato ha portato a limitare i trattamenti profilattici, dall’altro ha indotto cambiamenti negli schemi di cura con antibatterici, nonché l’utilizzo di nuovi farmaci.
Vengono infine considerate anche le opzioni terapeutiche chirurgiche, sia pur destinate a pazienti selezionati.
Pur se l’argomento è stato oggetto di recenti aggiornamenti in differenti linee guida societarie, restano ancora alcuni angoli oscuri, in particolare per quanto riguarda la profilassi antibiotica. Gli autori concludono suggerendo un approccio specifico per il singolo paziente, quando si debbano prendono decisioni terapeutiche, considerando anche con attenzione l’agente patogeno coinvolto e il rischio di complicazioni.
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