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Sartani e cancro: nuove conferme su una possibile associazione

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Una delle famiglie di farmaci più utilizzate contro l’ipertensione arteriosa e lo scompenso cardiaco, i sartani, o antagonisti recettoriali dell’angiotensina (ARB), potrebbe essere associata a un aumento del rischio di sviluppare tumori, in particolare quello del polmone.

A lanciare l’allarme è una recente metanalisi, pubblicata recentemente sulla rivista PLOS ONE, che ha evidenziato come il rischio aumenti al crescere dell’esposizione cumulativa a questi farmaci.

Sartani e cancro: una lunga storia

Questo non è il primo studio che cerca di mettere in luce un possibile grave effetto dannoso degli ARB nel loro utilizzo a lungo termine. Precedenti studi su questi farmaci avevano evidenziato effetti neutri in questo senso, fino a quando nel 2010 viene pubblicata su Lancet Oncology una metanalisi che suggeriva un’associazione tra ARB e un modesto aumento del rischio di nuova diagnosi di cancro.

Gli autori di questo studio, dell’Harrington-McLaughlin Heart & Vascular Institute, Case Western Reserve University School of Medicine, di Cleveland, in Ohio, concludevano peraltro che i dati limitati non permettevano di trarre conclusioni sull’esatto rischio di cancro associato a ciascun particolare farmaco.

La ricerca, che ha incluso un’ampia popolazione di pazienti, si basava sulla valutazione di studi in cui venivano utilizzati i sartani e che riportavano dati sul cancro, al fine di valutare la loro influenza sullo sviluppo di tumori e sulla morte per neoplasia. I risultati avevano evidenziato che i sartani erano associati a un modesto aumento (1-2% del rischio assoluto) di sviluppare nuovi tumori, rispetto al gruppo di controllo (7,2 vs 6,0%, RR 1,08).

Sulla scia dell’allarme sollevato da questi dati, la FDA nel 2011 promosse un’analisi specifica su questi farmaci che però non ha evidenziato un incremento del rischio di tumori.

Nello stesso anno la ARB Trialists Collaboration, un’intesa tra tutti gli sperimentato dei grandi trials condotti sui sartani, ha riaperto i database e lanciato un’analisi sull’enorme mole di dati disponibili, che includeva oltre 138.000 soggetti. Lo studio, pubblicato sul Journal of Hypertension nel 2011, concludeva che non vi era alcun aumento significativo del rischio di cancro, nel complesso o sito-specifico, indotto dagli ARB, rispetto ai controlli.

Col passare del tempo sono stati poi pubblicati altri lavori, che includevano un minor numero di pazienti, ed evidenziavano dati decisamente discordanti nel rapporto tra sartani e cancro. Altri studi hanno invece sollevato l’ipotesi di una possibile associazione anche tra altri farmaci antipertensivi e cancro, come gli ACE inibitori e i calcio antagonisti, ma anche in questo caso con risultati contrastanti.

Perché i sartani dovrebbero favorire i tumori?

Va subito precisato che i meccanismi con cui potenzialmente i sartani potrebbero indurre il cancro non sono chiari. Una delle ipotesi proposte è che nella produzione di questi farmaci vengano introdotte impurità con effetti cancerogeni. Tra queste vi sono le nitrosamine e altri composti azotati, sostanze che in tempi recenti hanno portato al richiamo di imponenti lotti di sartani.

Una spiegazione alternativa si basa sul ruolo dei recettori AT1 e AT2 nei processi coinvolti nella carcinogenesi. Studi su modelli animali hanno evidenziato che il sistema renina-angiotensina è implicato nella regolazione della proliferazione cellulare, dell’angiogenesi, dell’espansione del tumore e delle metastasi. Più precisamente, sembra che il blocco del recettore dell’angiotensina II tipo-1 con un sartano possa causare una stimolazione incontrastata del recettore dell’angiotensina II tipo-2 e di conseguenza facilitare l’angiogenesi tumorale.

Sartani e cancro: la nuova metanalisi

Ora, a distanza di oltre dieci anni, il Prof. Ilke Sipahi, autore principale dalla metanalisi pubblicata sul Lancet, che ora non lavora più a Cleveland ma è professore di cardiologia al Memorial Healthcare Group di Istanbul, in Turchia, pubblica una nuova metanalisi su questo argomento, come singolo autore.

Nel suo nuovo lavoro il Prof. Sipahi ha cercato di fornire ulteriori informazioni sul collegamento tra uso dei sartani e cancro, esaminando in particolare se esiste una relazione tra il grado di esposizione cumulativa a questi farmaci e il rischio di cancro.

Per fare questo ha utilizzato i dati della ARB Trialists Collaboration, inclusi 15 studi randomizzati e controllati. I due endpoit co-primari erano la relazione tra l’esposizione cumulativa agli ARB e il rischio per tutti i tumori combinati e la relazione tra l’esposizione cumulativa e il rischio di carcinoma ai polmoni.

Nell’analisi sono stati quindi inclusi oltre 74.000 pazienti che erano stati randomizzati a ricevere un ARB e oltre 61.000 pazienti di controllo.

I risultati della metanalisi hanno evidenziato una correlazione altamente significativa tra il grado di esposizione cumulativa agli ARB e il rischio di sviluppare qualsiasi tipo di tumore e in particolare il carcinoma del polmone.

L’aspetto forse più interessante che emerge da questa ricerca è che il rischio di sviluppare un qualsiasi tipo di neoplasia saliva maggiormente quando l’esposizione ai sartani era maggiore di 3 anni, a dosi giornaliere elevate (RR 1,11). È stato rilevato anche un aumento statisticamente significativo del rischio di carcinoma ai polmoni negli studi in cui l’esposizione cumulativa era maggiore di 2,5 anni (RR 1,21).

D’altra parte, negli studi con una bassa esposizione agli ARB, non è stato riscontrato un aumento del rischio per tutti i tumori o di carcinoma ai polmoni.

Le analisi hanno mostrato inoltre che per generare una diagnosi di cancro in eccesso era necessario che 120 pazienti fossero trattati con un ARB per 4,7 anni, mentre per generare una diagnosi di carcinoma del polmone, era necessario trattare 464 pazienti per 4,6 anni, con un tasso di incidenza che sarebbe di 223,1 tumori ogni 100.000 persone all’anno, per le persone di età compresa tra 65 e 69 anni.

Ben 200 milioni di individui in trattamento con sartani nel mondo

Questa nuova metanalisi centra la sua forza proprio sul fatto che si tratta del primo studio che va ad indagare se esiste un rapporto dose-risposta nell’associazione tra ARB e cancro. Quanto emerge, è che questa associazione sembra diventi significativa quando i farmaci sono assunti alla dose massima per tre o più anni.

Secondo il Prof. Sipahi il motivo per cui le analisi condotte dalla ARB Trialists Collaboration siano risultate negative dipende dal fatto che i dati dei soggetti esposti ad alte dosi sono stati diluiti con una grande quantità di altri dati su esposizioni molto più basse, sia in termini di tempo di esposizione che di dose.

Anche se il valore del rischio relativo evidenziato in quest’ultima metanalisi è basso, considerando che si stimano circa 200 milioni di individui in trattamento con sartani nel mondo (circa il 25% di tutti i farmaci antipertensivi), questo significa che questa classe di farmaci potrebbe potenzialmente causare circa 1,7 milioni di tumori in 4,7 anni.

In questa, che sembra un po’ una battaglia personale del Prof. Sipahi contro il resto del mondo, i risultati delle metanalisi da lui pubblicate, in più che autorevoli giornali, non possono comunque essere ignorati. Purtroppo però, per uscire da questa situazione di incertezza non ci sono molte alternative possibili. L’unico metodo per avere una risposta univoca è disegnare nuovi studi prospettici, su popolazioni molto ampie, randomizzati e controllati, con un follow-up particolarmente lungo e dati demografici e clinici completi.

Sarà mai possibile realizzarli? Certo non sarà facile, per una serie di differenti ragioni, ma certa quest’ultima metanalisi del Prof. Sipahi potrebbe far crescere l’interesse su questo rilevante problema di salute pubblica che resta irrisolto da ormai molti anni.

Cosa fare nel frattempo? Non resta che confidare negli organismi regolatori di tutto il mondo che dovrebbero sorvegliare i dati che di anno in anno si rendono disponibili sulla sicurezza dei farmaci, farli analizzare ad esperti e generare di conseguenza tutte le misure necessarie. Un processo di farmacovigilanza che, anche se ben lontano dall’essere perfetto, garantisce comunque la sicurezza dei trattamenti assunti da milioni di pazienti.

 

Franco Folino

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