Home Aritmologia Arresto cardiaco e adrenalina: il farmaco induce esiti sfavorevoli sul piano neurologico

Arresto cardiaco e adrenalina: il farmaco induce esiti sfavorevoli sul piano neurologico

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Dipartimenti di emergenza/Wikimedia commons

L’arresto cardiaco è un temibile evento di sostanziale impatto sulla salute pubblica. Si stima che in tutto il mondo si verifichino ogni anno oltre 3 milioni di morti improvvise per cause cardiache, con una sopravvivenza inferiore all’8%. Tra le molte condizioni che possono causare l’arresto cardiaco, la cardiopatia coronarica è una delle più comuni.

L’adrenalina ha rappresentato il cardine della rianimazione cardiaca e del supporto cardiaco avanzato dalla nascita della moderna rianimazione cardiopolmonare, nei primi anni ’60. La somministrazione di questo farmaco è ora suggerita sia dall’American Heart Association, sia dallo European Resuscitation Council, in associazione o meno con lo shock elettrico.

Da un po’ di tempo è aperto un dibattito sui reali benefici complessivi dell’utilizzo di questo farmaco in condizioni di emergenza, per i risultati di alcuni studi che hanno evidenziato una riduzione della sopravvivenza a lungo termine e un peggior recupero neurologico dopo la sua somministrazione.

Si aggiunge a questi contributi una nuova sperimentazione, pubblicata con libero accesso sul New England Journal of Medicine, che confronta verso placebo sicurezza ed efficacia dell’adrenalina.

Lo studio, randomizzato e in doppio cieco, ha coinvolto circa 8000 pazienti con arresto cardiaco extraospedaliero del Regno Unito. I paramedici coinvolti nell’indagine, del National Health Service, hanno così somministrato adrenalina per via parenterale o placebo in soluzione salina, oltre ovviamente alle altre cure necessarie. L’endpoint primario era il tasso di sopravvivenza a 30 giorni. Gli endpoint secondari includevano il tasso di sopravvivenza alla dimissione ospedaliera con esito neurologico favorevole.

La sopravvivenza a 30 giorni è risultata del 3,2% nel gruppo trattato con adrenalina e del 2,4% nel gruppo di controllo. Non è stata evidenziata una differenza significativa tra i due gruppi, nella proporzione di pazienti che sono sopravvissuti alla dimissione ospedaliera con esito neurologico favorevole (2,2% versus 1,9%).

Al momento della dimissione ospedaliera però, un grave danno neurologico è stato riscontrato più frequentemente nei pazienti trattati con il farmaco. (31% versus 18%).

I risultati evidenziano quindi due aspetti contrastanti in termini di efficacia e sicurezza del trattamento. Se da un lato sembra abbastanza ben delineato, anche se poi non così cospicuo, un vantaggio in termini di sopravvivenza, indotto dal trattamento con adrenalina, dall’altro è consistente la proporzione di pazienti inclusi in questo gruppo in cui si sviluppava un danno neurologico rilevante.

Per ammissione degli stessi autori, i motivi per cui l’uso di adrenalina abbia effetti negativi sul piano neurologico sono incerti. Le spiegazioni proposte sono due. La prima è legata al fatto che l’adrenalina aumenta il flusso sanguigno cerebrale macroscopico, compromettendo così, in modo paradossale, il flusso sanguigno microvascolare cerebrale, potendo così potenzialmente peggiorare le lesioni cerebrali alla ripresa della circolazione spontanea.

La seconda ipotesi si basa sulla maggiore sensibilità del tessuto cerebrale all’ischemia e al danno da riperfusione, con una minor capacità di recuperare funzionalmente dopo il ripristino della circolazione rispetto al cuore e ad altri organi.

Come viene osservato a conclusione del lavoro, nessuna terapia specifica, oltre alla gestione mirata della temperatura corporea, ha dimostrato di ridurre la gravità delle lesioni cerebrali dopo arresto cardiaco.

 

Franco Folino

 

Gavin D. Perkins, et al. A Randomized Trial of Epinephrine in Out-of-Hospital Cardiac Arrest. New Eng J Med, July 18, 2018.

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