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Trattare la depressione per ridurre gli eventi cardiovascolari

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La depressione non influisce negativamente solo sulle attività quotidiane e sulla qualità della vita del paziente, ma estende la sua azione anche favorendo alcune malattie somatiche. Molti studi hanno infatti dimostrato come la depressione maggiore fa aumentare il rischio di sviluppare una malattia cardiovascolare e, nei malati che già la presentano, fa incrementare il rischio di morbilità e mortalità.

L’impatto della depressione sulla salute cardiovascolare può essere in parte spiegato attraverso abitudini intercorrenti, quali il fumo, l’uso eccessivo di alcool, l’inattività fisica. Allo stesso tempo però possono essere presenti meccanismi fisiopatologici sfavorevoli, legati a una disfunzione del sistema neurovegetativo, ad alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene o dei processi metabolici e immunitari, con importanti ripercussioni sulla regolazione dei processi infiammatori.

L’inconsueta collaborazione tra ricercatori coreani e inglesi, ha portato all’elaborazione di un protocollo di studio che cerca di fare chiarezza sull’utilità dei farmaci antidepressivi nella prevenzione degli eventi cardiovascolari, successivamente ad una sindrome coronarica acuta.

Sono stati arruolati complessivamente 300 pazienti, con un’età media di 60 anni, randomizzati ad un trattamento con escitalopram (5, 10, 15 o 20 mg/die) o placebo, per un periodo di 24 settimane. Il farmaco è un inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina e viene comunemente utilizzato per il trattamento della depressione maggiore e dei disturbi d’ansia.

Tutti i pazienti erano stati valutati presso l’Ospedale Nazionale dell’Università di Chonnam, in Corea del Sud, presentavano una diagnosi di depressione ed erano reduci da una recente sindrome coronarica acuta.
L’endpoint principale dello studio era un composito di mortalità per tutte le cause, infarto miocardico e intervento coronarico percutaneo.

Nel corso di un follow-up mediano di 8 anni, l’endpoint si è verificato nel 41% dei pazienti trattati con escitalopram e nel 54% di quelli trattati con placebo (HR 0,69).

Analizzando in dettaglio gli eventi occorsi nella popolazione studiata, le differenze non sono sempre significative. Si nota così come la mortalità per tutte le cause era simile nei due gruppi (21% versus 24%), così come la morte per cause cardiache (11% versus 13%). Non è risultata statisticamente differente anche l’incidenza dell’intervento di rivascolarizzazione transcatetere (13% versus 20%). Al contrario, l’infarto miocardico è occorso meno frequentemente nel gruppo di pazienti in trattamento attivo (9% versus 15%).

Pur con alcune sfumature, lo studio evidenzia quindi come il trattamento del disturbo depressivo associato alla malattia cardiovascolare consenta, nel lungo termine, di ridurre il numero di eventi cardiovascolari maggiori, influendo così positivamente sulla prognosi della malattia.

Da molti anni ormai si susseguono studi che da un lato confermano la frequente associazione tra malattie cardiovascolari e depressione maggiore, e dall’altro indicano come il trattamento del disturbo dell’umore possa migliorare gli esiti clinici della malattia sottostante. Nonostante questo problema sia ormai ben definito, gli aspetti psichiatrici del malato con patologia cardiovascolare vengono però spesso sottovalutati. Questa nuova sperimentazione avrà, tra l’altro, anche il merito di riportare d’attualità questo tema.

 

Franco Folino

 

Jae-Min Kim, et al. Depression on Long-term Cardiac Outcomes in Patients With Acute Coronary Syndrome A Randomized Clinical Trial. JAMA. 2018;320(4):350-358.

 

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