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Vaccinazione COVID-19 e trombosi venosa cerebrale: un’evenienza molto rara

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Anche se estremamente rari, gli effetti avversi legati alla vaccinazione contro COVID-19 sono temuti ed hanno un forte impatto emotivo. Uno di quelli emersi in questi ultimi mesi, da quando è iniziata la campagna vaccinale, è la trombosi venosa cerebrale, che può però verificarsi in contesti emocoagulativi differenti.

Alcuni casi di trombosi venosa grave con trombocitopenia sono stati segnalati dopo alcuni giorni dalla somministrazione dei vaccini vettoriali AstraZeneca e Johnson & Johnson, a volte a carico del seno venoso cerebrale. Per le sue caratteristiche cliniche ed ematologiche, questa condizione è stata definita come VITT (vaccine-induced immune thrombotic thrombocytopenia), una forma di trombosi trombocitopenica indotta dal vaccino di origine immunitaria. In un’alta percentuale di questi pazienti è stata infatti rilevata la presenza di anticorpi contro il fattore piastrinico 4 (PF4). Già in un nostro precedente articolo abbiamo presentato uno studio che aveva identificato i meccanismi con cui alcuni anticorpi indotti dal vaccino contro l’infezione da SARS-CoV-2 possono causare fenomeni trombotici.

Da un punto di vista tecnico questa sindrome è stata poi meglio inquadrata, definendola come sospetta in presenza di un D-dimero >4.000 μg/L e improbabile per valori di D-dimero <2.000 μg/L.

D’altra parte, sono stati segnalati casi di trombocitopenia anche dopo la somministrazione dei vaccini a mRNA, come il Moderna e il Pfizer.

La trombosi del seno venoso cerebrale

La trombosi del seno venoso cerebrale è un evento raro che colpisce solitamente le giovani donne in età fertile, con un’incidenza di 3-4 casi per milione all’anno. Sembra associata ai più comuni fattori di rischio di trombosi venosa, come la gravidanza, i contraccettivi orali e le alterazioni dei fattori della coagulazione del sangue.

Dati recenti evidenziano come questa forma di trombosi cerebrale può verificarsi dopo un’infezione COVID-19 con una frequenza variabile da 39 pazienti per milione a 20 pazienti su 100.000 casi.

Dati europei recenti stimano che i casi di trombosi del seno venoso cerebrale si verifichino con una frequenza di un caso su 100.000 dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca e un caso su 1.000.000 dopo la somministrazione del vaccino Johnson & Johnson.

Caratteristiche cliniche, risultati di laboratorio e caratteristiche radiologiche

Un recente studio, pubblicato sulla rivista The Lancet, ha voluto esaminare le caratteristiche cliniche e laboratoristiche dei pazienti con trombosi venosa cerebrale in cui era stata rilevata la presenza di una VITT e confrontarle con quelle di soggetti in cui si era manifestata una trombosi venosa cerebrale senza le caratteristiche tipiche della VITT.

Per fare questo, sono stati analizzati i dati di 95 pazienti raccolti in 43 differenti ospedali del Regno Unito, in cui a seguito di una vaccinazione COVID-19 si era verificata una trombosi venosa cerebrale, indipendentemente dal tipo di vaccino.

Sono state valutate le caratteristiche cliniche, i risultati di laboratorio, le caratteristiche radiologiche e dosata la quantità di anticorpi anti-PF4.

La presenza di una VITT tra i pazienti analizzati è stata definita dalla presenza di una conta piastrinica inferiore a 150×109/L e da un D-dimero maggiore di 2.000 μg/L.

Oltre ai pazienti con complicanze post-vaccinazione, è stato incluso nell’analisi anche un ampio gruppo di soggetti con trombosi venosa cerebrale inclusi nell’International Study on Cerebral Vein and Dural Sinus Thrombosis.

I pazienti con VITT erano più giovani

Tra i 95 pazienti inclusi nell’analisi, 70 avevano parametri compatibili con una VITT e 25 no. Tutti i 70 casi di trombosi venosa cerebrale associata a VITT si sono verificati dopo una prima dose del vaccino AstraZeneca. Quattro pazienti con trombosi venosa cerebrale non-VITT avevano ricevuto la prima o la seconda dose del vaccino Pfizer.

L’intervallo di tempo mediano tra la vaccinazione e l’insorgenza dei sintomi della trombosi venosa cerebrale era di 9 giorni nei pazienti con VITT e di 11 giorni in quelli senza VITT. I primi erano più giovani (età media 47 anni versus 57 anni), avevano un maggior numero di trombosi delle vene intracraniche e più frequentemente avevano trombosi extracraniche (44% versus 4%).

Tra i 75 pazienti trovati trombocitopenici alla conta piastrinica, sette sono risultati negativi agli anticorpi anti-PF4 al test ELISA.

L’esito di morte o dipendenza successivamente all’evento si è verificato più frequentemente nei pazienti con trombosi venosa cerebrale associata a VITT (47% versus 16%). Questi eventi sono stati attenuati con la somministrazione di anticoagulanti non eparinici o immunoglobuline per via endovenosa.

La trombosi venosa cerebrale associata a VITT ha un quadro clinico peggiore

Il pregio di questo studio è quello di fornire informazioni molto precise e complete sulle caratteristiche cliniche e laboratoristiche dei pazienti con trombosi venosa cerebrale avvenuta a seguito di una vaccinazione per COVID-19.

Come osservato dagli stessi autori, la politica del Regno Unito che prevedeva di vaccinare prima i pazienti più anziani può aver distorto in qualche modo i risultati dello studio, che risultano così riferiti ad una popolazione composta maggiormente da soggetti in questa fascia di età. D’altra parte, i soggetti più giovani sono stati quelli che più frequentemente hanno manifestato una VITT.

L’elemento forse più importante che emerge da questa ricerca è che i pazienti con trombosi venosa cerebrale associata a VITT avevano un quadro clinico peggiore, con una trombosi venosa più estesa, tassi più elevati di infarti multipli, emorragie intracerebrali multiple e trombosi extracraniche. La VITT si è infine associata a un numero significativamente maggiore di morti o di dipendenza alla fine del ricovero ospedaliero.

Questo studio ha fornito anche alcune indicazioni utili per quanto riguarda il trattamento dei pazienti con trombosi venosa cerebrale. È infatti emerso che i farmaci più efficaci sono stati gli anticoagulanti non eparinici e le immunoglobuline somministrate per via endovenosa.

Infine, le osservazioni raccolte nello studio spingono gli autori a proporre nuovi criteri diagnostici per la trombosi venosa cerebrale associata a VITT. Secondo questi criteri è possibile fare una diagnosi di probabile VITT in pazienti con una conta piastrinica normale (≥150 × 109/L), un D-dimero normale o un test anticorpale anti-PF4 negativo, a condizione che altre evidenze supportino fortemente la diagnosi (vedi tabella sotto).

Tutte preziose informazioni, utili per gestire in modo adeguato i seppur rari casi di trombosi cerebrale venosa che si verificano dopo la somministrazione di alcuni vaccini COVID-19.

 

Franco Folino

 

Criteri diagnostici per trombosi venosa cerebrale associata a VITT

Trombosi venosa cerebrale associata a VITT definita

Trombosi venosa cerebrale post-vaccino (dimostrata su neuroimaging e con primo sintomo di trombosi venosa entro 28 giorni dalla vaccinazione contro il COVID-19)

e

Trombocitopenia (conta piastrinica più bassa registrata <150 × 109 per L o diminuzione documentata della conta piastrinica a meno del 50% del basale)

e

Anticorpi anti-PF4 (rilevati su ELISA o test funzionale)

 

Trombosi venosa cerebrale associata a VITT probabile

Trombosi venosa cerebrale post-vaccino

e

Sia trombocitopenia o anticorpi anti-PF4

e

Coagulopatia (D-dimero >2000 μg/L o fibrinogeno <2,0 g/L senza altra spiegazione come sepsi grave, tumore maligno o trauma o intervento chirurgico recente) o trombosi venosa extracranica (evidenza clinica o di imaging con esordio dopo la vaccinazione contro COVID-19)

 

Trombosi venosa cerebrale associata a VITT possibile

Trombosi venosa cerebrale post-vaccino

e

Sia trombocitopenia o anticorpi anti-PF4. Nel valutare l’intervallo dalla vaccinazione, dovrebbe essere utilizzata la data del primo sintomo di trombosi venosa, anche se questo era un sintomo di una trombosi extracranica. La finestra temporale retrospettiva entro la quale una conta piastrinica di base della trombosi venosa precerebrale può essere utilizzata per definire una diminuzione superiore al 50% non è stata definita, poiché ciò dipenderà da quali eventi medici si sono verificati nel frattempo.

 

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