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Un nuovo anticoagulante orale che promette meno sanguinamenti: milvexian

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CortoFrancese. CC BY-SA 4.0

Negli ultimi anni gli anticoagulanti diretti hanno via via preso il posto del warfarin nella prevenzione del tromboembolismo venoso. La loro azione viene esercitata su due fattori che sono coinvolti nella cascata della coagulazione: la trombina, nel caso del dabigatran, o il fattore X attivato, nel caso rivaroxaban, apixaban e edoxaban.

Si fa ora strada tra questi concorrenti un nuovo anticoagulante orale che ha come bersaglio il fattore XI della coagulazione. Un recente studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha evidenziato come un farmaco con questo meccanismo di azione, il milvexian, utilizzato nei pazienti sottoposti ad artroplastica del ginocchio, è risultato efficace nella prevenzione del tromboembolismo venoso e, cosa forse ancor più importante, ha dimostrato di indurre un basso rischio di sanguinamento. Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante, perché l’efficacia nella prevenzione degli eventi embolici è sostanzialmente buona per tutti gli anticoagulanti diretti, ma l’elemento che potrebbe fare la differenza è la sicurezza del farmaco. Una sicurezza legata principalmente al più importante dei suoi effetti collaterali, il sanguinamento. Se un nuovo anticoagulante si dimostrasse in grado di prevenire gli eventi trombotici, senza far crescere eccessivamente il rischio di sanguinamento, sarebbe ovviamente il farmaco ideale.

Gli anticoagulanti orali diretti

Il loro aspetto innovativo era sottolineato nel nome a loro inizialmente attribuito: i nuovi anticoagulanti orali. Ormai sono in uso da diversi anni, e per questo si preferisce ora chiamarli anticoagulanti diretti, richiamando il loro meccanismo di azione.

Questa classe di farmaci sta pian piano soppiantando l’uso del warfarin, storico anticoagulante, peraltro inizialmente utilizzato come topicida, che agisce antagonizzando le funzioni della vitamina K. Con questo meccanismo è in grado di agire in differenti punti della cascata della coagulazione, inibendo la formazione delle forme attive dei fattori II, VII, IX e X.

Gli anticoagulanti diretti esercitano la loro azione in modo più selettivo. Rivaroxaban, apixaban e edoxaban agiscono inibendo il fattore X attivato, mentre dabigatran inibisce direttamente la trombina.

Nella popolazione adulta, questi farmaci sono indicati nella prevenzione dell’ictus e dell’embolia sistemica nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare e per il trattamento e la prevenzione della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare. Differenti studi hanno dimostrato una maggiore efficacia di queste molecole rispetto al warfarin.

Gli inibitori del fattore XIa

La ricerca ha spostato successivamente la sua attenzione su molecole in grado di agire più a monte nella cascata della coagulazione, agendo direttamente sul fattore XI e inibendo la sua attivazione.

Posto all’inizio della via di attivazioni intrinseca, il fattore XI è una glicoproteina che viene attivata dal fattore XIIa, a sua volta attivato dalla lesione dei vasi e dalla conseguente liberazione di fosfolipidi piastrinici.

In particolare, si è visto che i pazienti che presentano un deficit genetico del fattore XI hanno un rischio inferiore di sviluppare trombosi ma non presentano eventi emorragici. Da questo nasce l’interesse di sviluppare un farmaco che agisca proprio a livello del fattore XI, che pur avendo un ruolo fondamentale nel contribuire alla crescita dei trombi ha una funzione meno rilevante nei processi emostatici.

Uno di questi farmaci, in corso di sviluppo dalle aziende farmaceutiche Bristol Myers Squibb e Janssen, è milvexian e i primi risultati iniziano a vedersi.

Lo studio AXIOMATIC-TKR

In questo nuovo studio, di fase 2, i ricercatori hanno valutato oltre 1.200 pazienti sottoposti ad artroplastica del ginocchio. Dopo questo tipo di intervento, così come dopo altri interventi chirurgici ortopedici, i pazienti vengono comunemente avviati ad un trattamento anticoagulante, per la prevenzione degli eventi tromboembolici, che possono essere favoriti dall’intervento stesso e dal periodo di relativa immobilizzazione a letto.

I soggetti inclusi nello studio sono stati assegnati a due differenti trattamenti: milvexian, ad uno dei sette regimi posologici previsti (25 mg, 50 mg, 100 mg o 200 mg due volte al giorno o 25 mg, 50 mg o 200 mg una volta al giorno) oppure ad enoxaparina (40 mg una volta al giorno).

L’endpoint principale di efficacia dello studio era il tromboembolismo venoso, definito come un composito di trombosi venosa profonda asintomatica, tromboembolia venosa sintomatica confermata o morte per qualsiasi causa. L’endpoint principale di sicurezza era il sanguinamento.

Efficace e sicuro

Tra i pazienti trattati con milvexian due volte al giorno, un tromboembolismo venoso si è sviluppato nel 21% di quelli che assumevano 25 mg, nell’11% di quelli che assumevano 50 mg, nel 9% di quelli che assumevano 100 mg e nell’8% di quelli che avevano assunto il dosaggio di 200 mg.

Tra coloro che avevano ricevuto milvexian una volta al giorno, il tromboembolismo venoso si è sviluppato nel 25% di quelli che assumevano 25 mg, nel 24% di quelli che assumevano 50 mg e nel 7% di quelli che assumevano 200 mg. I pazienti che assumevano enoxaparina hanno sviluppato un evento trombotico nel 21% dei casi.

Questi primi risultati sembrano quindi indicare che milvexian, a qualsiasi regime assunto, non è mai inferiore ad enoxaparina, anzi, ai dosaggi più elevati sembra decisamente più efficace.

Per quanto riguarda la sicurezza del farmaco, i pazienti trattati con milvexian hanno sviluppato un sanguinamento di qualsiasi gravità nel 4% dei casi, esattamente la stessa percentuale rilevata tra quelli assegnati al trattamento con enoxaparina.

Un sanguinamento maggiore o non maggiore clinicamente rilevante si è verificato rispettivamente nell’1% e nel 2% dei casi.

Per maggior precisione, i quattro regimi di somministrazione di milvexian con doppia dose giornaliera (25, 50, 100 o 200 mg) hanno fatto registrare un qualsiasi sanguinamento rispettivamente nel 1%, 5%, 5% e 3% dei casi. I regimi in monosomministrazione (25, 50 e 200 mg) sono stati associati a un qualsiasi sanguinamento nello 0%, 5% e 6 % dei casi.

Il confronto con altri farmaci anticoagulanti orali

Come abbiamo già detto, in questo nuovo studio milvexian si è dimostrato un farmaco efficace nella prevenzione degli eventi trombotici, riducendoli anche se utilizzato in monosomministrazione. Inoltre, utilizzato in dosi di 100 mg è risultato addirittura superiore an enoxaparina.

Questo studio ha però fatto emergere quello che forse era il dato più atteso per questo farmaco, ovvero la bassa incidenza di sanguinamenti, risultati sostanzialmente sovrapponibili a quelli del farmaco di controllo.

Dalla fase 2 questo nuovo farmaco è ora ormai destinato a essere valutato in studi di fase 3, quando verrà probabilmente confrontato non solo contro warfarin, ma anche contro i suoi più diretti rivali, gli anticoagulanti diretti. Se anche in questi studi la sua efficacia, ma soprattutto la sua sicurezza nei confronti del rischio emorragico, verrà confermata, potrebbe rappresentare una svolta fondamentale nel panorama degli anticoagulanti orali, sbaragliando il campo dei concorrenti.

Con un numero sempre più elevato di soggetti che assumono anticoagulanti orali per la prevenzione degli eventi tromboembolici, poter disporre di un farmaco non solo efficace, ma soprattutto sicuro, potrebbe far drasticamente calare il numero di eventi avversi di tipo emorragico, con enormi vantaggi per i pazienti e per la sanità pubblica. Un farmaco di questo tipo potrebbe perfino far estendere le indicazioni all’uso degli anticoagulanti, alla luce di un profilo di sicurezza finalmente migliorato.

 

Franco Folino

 

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