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L’efficacia del metoprololo nella cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva

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Hypertrophic-obstructive cardiomyopathy in a domestic shorthair cat, visualized by echocardiography, color-doppler, right parasternal, long axis. Note the thickened septum, the obstructed LVOT and the mitral regurgitation. Kalumet

Uno dei trattamenti di prima linea della cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva è quello con i beta-bloccanti. Questi farmaci forniscono differenti vantaggi, riducendo la frequenza cardiaca, la contrattilità miocardica e di conseguenza il gradiente pressorio all’interno del ventricolo sinistro, in particolare durante l’esercizio fisico. In differenti studi clinici i beta bloccanti si sono dimostrati in grado di migliorare la sintomatologia del paziente.

Recentemente, un gruppo di ricercatori danesi ha osservato come le attuali linee guida sulla miocardiopatia ipertrofica che raccomandano l’uso dei beta-bloccanti, nei pazienti con ostruzione del tratto di efflusso del ventricolo sinistro, si basano solo su quattro piccoli studi non randomizzati. Si tratta di sperimentazioni condotte utilizzando il solo propranololo, portati a termine oltre 50 anni fa. Per questo hanno deciso di realizzare una nuova sperimentazione, con un disegno crossover, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, per valutare gli effetti di un altro beta-bloccante, il metoprololo, nei pazienti con questa forma di cardiomiopatia.

La cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva

La cardiomiopatia ipertrofica è caratterizzata da un aumento localizzato dello spessore della parete ventricolare sinistra, non attribuibile ad altre condizioni cardiache o extracardiache, quali l’ipertensione arteriosa o le malattie valvolari. La sua causa è genetica in quasi tutti i casi, ma può presentarsi anche nell’amiloidosi.

L’aumento di spessore della parete del ventricolo sinistro può causare una vera e propria ostruzione del tratto di efflusso del ventricolo sinistro, riducendo così la gettata cardiaca. Più precisamente, l’ostruzione viene definita tale se si realizza un gradiente ventricolare sinistro massimo maggiore o uguale a 30 mmHg, a riposo o in corso di esercizio fisico, e porta alla diagnosi di cardiomiopatia ostruttiva ipertrofica.

La cardiomiopatia ipertrofica si manifesta con una prevalenza di circa lo 0,2% nella popolazione generale, mentre una ostruzione è presente in circa due terzi dei casi.

La maggior parte dei pazienti rimane asintomatica o lievemente sintomatica per tutta la vita, mentre altri possono riferire dispnea, intolleranza all’esercizio, dolore toracico, palpitazioni, presincope e sincope. Questi sintomi, solitamente, aumentano con l’età.

La terapia medica cardine di questa malattia sono i beta-bloccanti che vengono utilizzati per diminuire la frequenza cardiaca, prolungare la diastole, ridurre l’ostruzione ventricolare sinistra durante l’esercizio e migliorare i rapporti tra domanda e offerta di ossigeno del miocardio. La loro dose viene gradualmente aumentata fino a portare la frequenza cardiaca a riposo su valori di 50-60 battiti al minuto.

Cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva e beta-bloccanti: il nuovo studio

In questo nuovo studio, pubblicato nei giorni scorsi sulle pagine del Journal of the American College of Cardiology, gli autori hanno valutato 29 pazienti con cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva che presentavano una classe funzionale della New York Heart Association (NYHA) II o superiore.

Sono stati randomizzati a ricevere metoprololo o placebo per 2 periodi consecutivi di 2 settimane, in ordine casuale e alternandosi fra loro.

Il parametro principale valutato è stato il gradiente del tratto di efflusso del ventricolo sinistro al picco dell’esercizio. Come parametri secondari sono stati valutati il punteggio complessivo di sintesi del questionario sulla cardiomiopatia di Kansas City e il picco del consumo di ossigeno. Altri parametri valutati in modo esplorativo sono stati la classe funzionale NYHA, la classe della Canadian Cardiovascular

Society (CCS) per l’angina, i valori di troponina T cardiaca ad alta sensibilità, l’NT-proBNP e il global longitudinal strain misurato all’ecocardiogramma.

Gradienti più bassi prima, durante e dopo esercizio fisico

Dai risultati dello studio emerge che i pazienti trattati con metoprololo presentavano un gradiente del tratto di efflusso del ventricolo sinistro a riposo più basso, rispetto ai pazienti che avevano assunto placebo (25 mmHg versus 72 mmHg). Valori più bassi di gradiente nei pazienti in trattamento attivo sono stati rilevati anche al picco dell’esercizio (28 mmHg versus 62 mmHg) e al termine di questo (45 mmHg versus 115 mmHg).

Durante il periodo di trattamento il 14% dei pazienti era in classe funzionale NYHA III o superiore, rispetto al 38% dei pazienti trattati con placebo. Per quanto riguarda l’angina, nessun paziente era in classe CCS III o superiore durante il trattamento con metoprololo, mentre è stata rilevata nel 10% dei casi tra i soggetti inclusi nel gruppo di controllo.

Il punteggio del questionario sulla cardiomiopatia di Kansas City è risultato più elevato nei soggetti trattati con il beta-bloccante (76,2 versus 73,8). Al contrario, la capacità di esercizio, il consumo massimo di ossigeno e i valori del peptide natriuretico NT-proBNP non hanno evidenziato differenze significative tra i pazienti in trattamento attivo e quelli inclusi nel gruppo di controllo.

Cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva: il primo studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo

I risultati di questo studio possono sembrare scontati. Il fatto che un beta-bloccante come metoprololo agisca in modo positivo sulle alterazioni emodinamiche causate dalla cardiomiopatia ipertrofica non è cosa che sorprenda. Questo però è il primo studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo che ha valutato l’effetto di questi farmaci nei pazienti con una cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, analizzando differenti parametri clinici e laboratoristici. Fino ad oggi il loro impiego era basato essenzialmente sull’esperienza clinica e sui risultati di pochi studi osservazionali.

Questa nuova ricerca ha dimostrato in modo inequivocabile che il trattamento con metoprololo è associato a una riduzione rilevante del gradiente pressorio nel tratto di efflusso del ventricolo sinistro e ha migliorato i sintomi.

Probabilmente i limiti più importanti di questo studio sono il numero molto piccolo di soggetti studiati e il breve periodo di trattamento. Va peraltro considerato che questa ricerca è stata svolta ai limiti dell’eticità, considerando che privare un paziente con cardiomiopatia ipertrofica di un trattamento con beta-bloccanti potrebbe essere un comportamento non giustificabile.

Inoltre, come fanno osservare gli autori, sebbene la maggior parte dei pazienti abbia evidenziato una riduzione dei gradienti nel tratto di efflusso del ventricolo sinistro assumendo metoprololo, è stata registrata una rilevante variabilità individuale. Così, circa un terzo dei pazienti non ha risposto alla terapia, un gruppo di non-responders già rilevato in precedenti sperimentazioni con beta-bloccanti.

 

Franco Folino

 

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