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L’importanza di mantenere la pressione arteriosa al di sotto di 120mmHg, anche nelle persone anziane

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Si stima che una pressione arteriosa elevata causi circa 7,5 milioni di morti in tutto il mondo. Il che rappresenta circa il 12,8% di tutte le cause di morte. In alcuni gruppi di soggetti, con maggiori fattori di rischio, la prevalenza di malattie cardiovascolari raddoppia per ogni incremento di 20/10mmHg di pressione arteriosa, a partire da 115/75mmHg.

A livello globale, la prevalenza complessiva della pressione elevata negli adulti di età maggiore o uguale a 25 anni è stata di circa il 40% nel 2008 e a causa della crescita della popolazione e del suo progressivo invecchiamento, il numero di persone con ipertensione è passato da 600 milioni nel 1980 a circa un miliardo nel 2008.

 

Mantenere livelli ben controllati di pressione arteriosa è di fondamentale importanza per la prevenzione degli eventi cardiovascolari, ma da molto tempo si dibatte su quali siano i valori pressori ideali da mantenere, per specifiche popolazioni di soggetti, più o meno giovani, con o senza fattori di rischio associati.

In realtà tutti gli studi pubblicati negli ultimi anni sembrano indicare la necessità di contenere i valori pressori ben al di sotto dei 140/90mmHg solitamente considerati come un livello soglia.

A portare un nuovo contributo in questo senso è il lavoro pubblicato sulla rivista JAMA, dove vengono studiati pazienti con età uguale o maggiore di 75 anni e non diabetici.

I criteri di inclusione nello studio prevedevano la presenza di un aumentato rischio di malattia cardiovascolare (storia di malattia cardiovascolare clinica o subclinica, malattia renale cronica, rischio cardiovascolare di Framingham a 10 anni ≥15%, o età ≥ 75 anni), mentre erano esclusi i pazienti con diabete tipo 2, storia di ictus, insufficienza cardiaca sintomatica negli ultimi 6 mesi o frazione di eiezione ventricolare sinistra ridotta (<35%).

I partecipanti sono stati randomizzati in due gruppi: trattamento intensivo, con un obiettivo di pressione sistolica inferiore a 120mmHg, o trattamento standard, con un obiettivo di pressione inferiore a 140mmHg. Nel primo gruppo sono stati inclusi 1317 pazienti, nel secondo 1319.

Gli outcome considerati sono stati, in modo composito, l’infarto non fatale, la sindrome coronarica acuta, l’ictus non fatale, l’insufficienza cardiaca acuta scompensata e la morte per cause cardiovascolari. La mortalità per qualsiasi causa è stata considerata come endpoint secondario.

Nel corso di follow-up, il valore medio di pressione sistolica è risultato di 123.4mmHg nel gruppo con trattamento intensivo e di 134.8mmHg nel gruppo con trattamento standard, mentre la pressione diastolica era rispettivamente di 62.0mmHg e 67.2mmHg.

L’outcome composito primario è stato osservato in 102 pazienti (2,59% annuo) nel gruppo con trattamento intensivo e in 148 (3,85% annuo) del gruppo con trattamento standard (HR, 0.66). I risultati sono stati simili per tutte le cause di mortalità.

Per quanto riguarda la sicurezza dei trattamenti adottati, gli eventi avversi seri sono stati simili nei due gruppi.

Questo studio sembra quindi inequivocabilmente evidenziare come sia di determinante importanza mantenere livelli target di pressione sistolica sotto i 120mmHg, anche in pazienti anziani non diabetici. I livelli di riduzione rischio evidenziati nel presente studio, applicati alla popolazione generale che soffre di ipertensione arteriosa, rende evidente come un trattamento antiipertensivo intensivo possa ridurre in modo estremamente consistente il numero complessivo di eventi cardiovascolari in questi soggetti.

 

Williamson JD, et al. Intensive vs Standard Blood Pressure Control and Cardiovascular Disease Outcomes in Adults Aged ≥75 Years. A Randomized Clinical Trial. JAMA. 2016;315(24):2673-2682.

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