Nel confronto con i classici stent metallici, i più recenti stent riassorbibili sembrano essere meno efficaci e gravati da un maggior rischio di sviluppare fenomeni trombotici locali. Sono queste le conclusioni cui a giunto un recente studio, pubblicato online dal Journal of the American College of Cardiology.
L’invenzione dell’angioplastica nel trattamento percutaneo della malattia coronarica ostruttiva, proposta da Andreas Gruentizig nel 1977, è stato un enorme balzo in avanti nella medicina cardiovascolare e sarà sempre ricordato come una rivoluzione nel campo della rivascolarizzazione. A questa, altre due importanti rivoluzioni si sono succedute, l’avvento degli stent metallici e di quelli medicati, che hanno fornito una soluzione a molti problemi, in particolare ai fenomeni di occlusione subacuta e di restenosi.
Da qualche anno siamo entrati nella quarta rivoluzione in questo campo, con lo sviluppo di dispositivi biodegradabili che dilatano la coronaria e poi si dissolvono, risolvendo, almeno teoricamente, i problemi legati all’alterazione della dinamica di flusso coronarico, all’abolizione della reattività vascolare e alle alterazioni della funzione endoteliale, indotte dagli stent metallici permanenti.
Diversi studi hanno esplorato gli effetti degli stent riassorbibili nei pazienti con malattia coronarica, evidenziando i buoni risultati ottenibili con questi sistemi, ma questo recente studio sembra porre seri dubbi sulla superiorità degli stent riassorbibili.
E’ stata eseguita una revisione sistematica ed una meta-analisi delle sperimentazioni disponibili sugli stent riassorbibili, al fine di caratterizzare le loro prestazioni in confronto a quelle ottenute con stent metallici medicati. Sono stati inclusi complessivamente 5.583 pazienti, di cui 3.261 con stent riassorbibile e 2.322 con stent metallico. Il follow-up mediano è stato di due anni. L’end point principale considerato è stato un composito di morte cardiaca, infarto in territorio del vaso-bersaglio o rivascolarizzazione della lesione target.
I risultati hanno evidenziato come il rischio per l’end point primario era superiore nei pazienti con stent riassorbibile rispetto al gruppo di confronto (9,6% vs. 7,2%). Nel gruppo di pazienti con stent riassorbibile è stato registrato inoltre un maggior rischio di rivascolarizzazione (5,7% vs. 4,1%) e di infarto miocardico (5,8% vs. 3,2%).
Rispetto agli stent metallici medicati, gli stent riassorbibili sembrano così esporre i pazienti al rischio di una minore efficacia del trattamento e ad un maggior rischio di complicanze trombotiche.
E’ presto per considerare come superati gli stent riassorbibili, ma certo questa battuta di arresto costringerà ad identificare e ad adottare delle specifiche misure da associare a questo trattamento, per cercare di prevenire le sue possibili debolezze e poter sfruttare pienamente gli aspetti positivi indotti dal riassorbimento del dispositivo.
Franco Folino