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L’influenza fa aumentare il rischio di infarto miocardico

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Il virus dell'influenza al microscopio elettronico

La stagione invernale 2018 resterà nella storia epidemiologica del nostro paese, come uno dei periodi invernali con il maggior numero di casi di influenza. Come diretta conseguenza sono stati anche registrati numerosi ricoveri, resi necessari nei casi in cui si sviluppano le complicanze della malattia.

Tra queste, le più comuni sono le polmoniti, le infezioni dell’orecchio e delle vie aeree superiori. L’influenza può però anche far peggiorare malattie croniche, come l’asma o il diabete, e indurre effetti avversi sul cuore, causando uno scompenso cardiaco, una pericardite o una miocardite.

Pur se descritto in letteratura, l’infarto è considerato una complicazione poco frequente dell’influenza, ma un recente lavoro sembra evidenziare come questa evenienza non sia poi così rara.

I dati analizzati nello studio sono stati ottenuti da un database sanitario dell’Ontario e sono stati considerati solo i casi di influenza confermata con test laboratoristici, considerando infezioni per virus influenzali di tipo A e B, nonché altre infezioni virali dovute a microrganismi quali il virus respiratorio sinciziale, l’adenovirus, il coronavirus, l’enterovirus, il virus parainfluenzale e il metapneumovirus.

Lo studio ha considerato come periodo “a rischio” per l’infarto, i primi sette giorni dall’inizio dell’infezione influenzale. Sono state invece definite come periodo di controllo, le 52 settimane precedenti l’infezione e le 51 settimane successive al periodo “a rischio”.

Sono stati registrati 364 ricoveri per infarto miocardico acuto, avvenuti un anno prima e un anno dopo il risultato positivo del test di laboratorio per l’influenza. Di questi, 20 sono avvenuti durante il periodo “a rischio” e 344 durante il periodo di controllo. Il tasso di incidenza per i giorni da 1 a 3 e da 4 a 7 è risultato rispettivamente 6,3 e 5,8, senza incrementi significativi dopo il settimo giorno.

Il rapporto di incidenza di ricovero per infarto miocardico nel periodo a rischio rispetto a quello di controllo è risultato di 6,05. Il ceppo di influenza maggiormente associato all’infarto miocardico è risultato il virus di tipo B (10,11), seguito dal virus dell’influenza tipo A (5,17) e dal virus respiratorio sinciziale (3,51).

Il rigoroso protocollo adottato in questo studio lascia pochi dubbi sui risultati ottenuti. Sembra quindi confermato l’incremento del rischio di infarto miocardico in corso di infezione influenzale, con livelli di incremento del rischio particolarmente elevati.

I possibili meccanismi patogenetici implicati possono essere differenti. Innanzitutto dobbiamo ricordare che in corso di un’infezione si innescano fenomeni protrombotici, quali l’attivazione piastrinica e la disfunzione endoteliale, ma incrementa al tempo stesso anche lo stress biomeccanico vasale e si possono verificare fenomeni di vasocostrizione locale.

I risultati di questo studio devono quindi indurre a sempre più estese campagne vaccinali, nei soggetti a rischio e nei soggetti anziani. Andrà però certamente valutata in futuro anche l’utilità di interventi profilattici contro gli eventi trombotici, da mettere in atto nel caso si sviluppasse l’infezione.

 

Franco Folino

 

 

Jeffrey C. Kwong, et al. Acute Myocardial Infarction after Laboratory-Confirmed Influenza Infection. N Engl J Med 2018;378:345-53.

 

 

 

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