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La morte improvvisa negli atleti: l’esperienza del Regno Unito

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I casi di morte improvvisa che avvengono in corso di competizioni sportive sono fortunatamente abbastanza rari, ma di forte impatto sull’opinione pubblica. Gli atleti che vogliono praticare attività sportive agonistiche devono sottoporsi a controlli medici. Questi protocolli di screening sono però molto differenti nei vari paesi. Possiamo però dire, con orgoglio, che in Italia la valutazione per l’idoneità sportiva agonistica è tra le migliori al mondo e ha certamente contribuito a salvare molte vite.

Nel Regno Unito, l’Associazione calcistica inglese ha avviato un programma di screening cardiaco obbligatorio per atleti adolescenti dal 1997. Sono stati valutati oltre 11.000 giovani.

Morte improvvisa negli atleti adolescenti: lo studio

Dall’analisi di questi dati è nato uno studio, recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine, che ha cercato di determinare l’incidenza e le cause di morte cardiaca improvvisa in questa popolazione.

L’età media dei soggetti valutati è stata di 16,4 anni e il 95% di loro era maschio. Il programma di screening cardiaco della Federcalcio inglese consisteva in un questionario sulla salute, un esame fisico, un elettrocardiogramma ed un ecocardiogramma. Nel registro della federazione le morti improvvise cardiache erano state confermate con un esame autoptico.

Durante lo screening, nello 0,38% degli atleti è stato riscontrato un problema cardiaco potenzialmente in grado di causare una morte cardiaca improvvisa. Tra questi, il più frequente è stato un aspetto elettrocardiografico di preeccitazione ventricolare tipo Wolff-Parkinson-White.

Un ulteriore 2% di atleti ha evidenziato anomalie congenite o valvolari. In questo caso quelle di più frequente riscontro sono state la valvola aortica bicuspide e il difetto del setto interatriale. Dopo lo screening, ci sono stati 23 decessi per qualsiasi causa, di cui il 35% morti improvvise attribuite a malattie cardiache. Un altro 30% è deceduto per incidenti stradali, un 22% per aver sviluppato un tumore, il 9% per overdose da droga e il 4% per suicidio.

La presenza di una cardiomiopatia ha causato l’88% delle 8 morti cardiache improvvise registrate. Queste erano correlate in prevalenza a una  cardiomiopatia ipertrofica (3 casi) e a una cardiomiopatia aritmogena (2 casi).

Il 75% degli atleti morti improvvisamente erano risultati idonei al programma di screening.

Il tempo medio tra lo screening e la morte cardiaca improvvisa è stato di 6,8 anni. Sulla un totale di 118.351 persone/anno, l’incidenza della morte cardiaca improvvisa tra i calciatori adolescenti precedentemente sottoposti a screening era 1 per 14.794 persone/anno.

Perché tanti falsi negativi?

La percentuale apparentemente bassa di soggetti in cui è stato riscontrato un problema cardiaco potenzialmente in grado di causare una morte improvvisa non deve ingannare. Va considerato che questa piccola quota va applicata ad un numero estremamente grande di soggetti che desiderano partecipare a sport agonistici, quindi il numero assoluto di soggetti a rischio può essere a sua volta molto elevato.

Due aspetti di questo studio colpiscono in modo particolare. Il primo è che nello screening degli atleti non era incluso un test da sforzo, che può spesso svelare una predisposizione a sviluppare aritmie pericolose in corso di esercizio fisico. A volte anche in soggetti con altri riscontri clinici e strumentali negativi. Il secondo è che ben il 75% degli atleti morti improvvisamente erano stati giudicati idonei all’attività sportiva.

Questi due punti potrebbero essere correlati tra loro. Un numero così elevato di falsi negativi potrebbe voler dire che anche un esame come l’ecocardiogramma può risultare poco sensibile per identificare patologie cardiache potenzialmente aritmogene, particolarmente se eseguito da mani poco esperte. Al contrario, un test da sforzo sarebbe stato forse potenzialmente in grado di svelarne l’esistenza.

 

Franco Folino

 

 

Aneil Malhotra, et al. Outcomes of Cardiac Screening in Adolescent Soccer Players. N Engl J Med 2018; 379:524-534.

 

 

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