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Due nuovi biomarcatori per i pazienti con fibrillazione atriale

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Solo qualche settimana fa abbiamo pubblicato un articolo dedicato ai biomarcatori per la fibrillazione atriale. Sostanze rilevate da un semplice prelievo venoso, in grado di stratificare non solo il rischio di eventi tromboembolici ma, più in generale, la prognosi dei pazienti.

Arriva ora un nuovo studio, pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology, che ha valutato se la produzione di ossido nitrico possa influire sugli eventi clinici in pazienti con fibrillazione atriale, sia di tipo tromboembolico, sia di tipo emorragico.

In particolare, gli autori hanno valutato le concentrazioni ematiche di arginina metilata asimmetrica e di dimetilarginina simmetrica (ADMA / SDMA).

Perché sono state scelte queste due sostanze?

Sappiamo che l’ossido nitrico prodotto dall’endotelio svolge un ruolo estremamente importante nella regolazione della pressione sanguigna e nella modulazione dell’aggregazione piastrinica. La sua sintesi avviene grazie ad un processo di ossidazione del gruppo N-terminale del residuo guanidinico dell’Arginina.

L’ADMA è un inibitore endogeno dell’ossido nitrico sintetasi endoteliale, ed è quindi in grado di ridurre la produzione di ossido nitrico a questo livello. Anche la forma simmetrica di questa molecola è in grado di inibire la produzione di ossido nitrico, ma esercita inoltre anche effetti pro-infiammatori.

Un aumento di queste due forme metilate dell’arginina è quindi in grado di esercitare effetti negativi a livello vascolare, facendo aumentare sia il rischio tromboembolico che quello emorragico.

Lo studio

Gli autori hanno analizzato i campioni ematici di oltre 5.000 pazienti con fibrillazione atriale, randomizzati a un trattamento con warfarin o apixaban, già inclusi nello studio ARISTOTLE (Apixaban for Reduction in Stroke and Other Thromboembolic Events in Atrial Fibrillation). Le concentrazioni di ADMA e SDMA sono state misurate mediante cromatografia liquida ad alte prestazioni. Il follow-up mediano è stato di 1,9 anni.

I risultati hanno evidenziato innanzitutto che le concentrazioni plasmatiche di ADMA e SDMA crescevano all’aumentare dell’età dei pazienti. Valori più elevati sono stati anche rilevati nelle donne, nei pazienti con insufficienza renale, con fibrillazione atriale permanente e con insufficienza cardiaca.

Si è visto inoltre come i livelli di ADMA e SDMA erano in qualche modo proporzionali ai due punteggi maggiormente utilizzati per stratificare il rischio dei pazienti con fibrillazione atriale: CHA2DS2-VASc e HAS-BLED. Al contrario, nei pazienti con diabete, i livelli di queste due sostanze era diminuito.

Dall’analisi multivariata è emerso come le concentrazioni di ADMA erano significativamente associati a ictus, embolia sistemica e morte. I livelli di SDMA erano associati a sanguinamento maggiore e morte.

Due nuovi marcatori da dosare

Abbiamo quindi due nuove sostanze che si propongono nella lista di quelle già utilizzate per stratificare il rischio nei pazienti con fibrillazione atriale.

ADMA sembra utile nella previsione di eventi tromboembolici, mentre SDMA sembra più efficace nel predire eventi emorragici. Entrambi, quando elevati, si associano ad un aumento della mortalità.

L’importanza della produzione di ossido nitrico da parte dell’endotelio è cosa ormai ben nota. Poterne valutare indirettamente il livello di produzione, attraverso il dosaggio di specifici biomarcatori, fornisce un utile e ripetibile sistema per stabilire la prognosi dei pazienti con fibrillazione atriale. Ma forse anche di quelli senza questa aritmia.

 

Franco Folino

 

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John D. Horowitz, et al. Asymmetric and Symmetric Dimethylarginine Predict Outcomes in Patients With Atrial Fibrillation. An ARISTOTLE Substudy. Journal of the American College of Cardiology, Volume 72, Issue 7, August 2018.

 

 

 

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