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Dopo rivascolarizzazione coronarica, potrebbero bastare soli sei mesi di doppia terapia antiaggregante

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La maggioranza degli studi sulla doppia antiaggregazione piastrinica, cercano di dimostrare come l’utilizzo di due farmaci antiaggreganti possano fornire maggiori benefici clinici se utilizzati per un periodo superiore all’anno. È questo l’intervallo di tempo considerato standard per i pazienti sottoposti ad un intervento di rivascolarizzazione coronarica con stent. Esiste però anche una linea di ricerca che punta in direzione opposta, che tende cioè a dimostrare come siano invece sufficienti soli sei mesi di questo regime terapeutico.

Un recente studio, pubblicato sul British Medical Journal sembra indicare che dopo un’angioplastica primaria 6 o 12 mesi di doppia antiaggregazione sono sostanzialmente equivalenti in termini di morbilità e mortalità cardiovascolare.

La doppia terapia antiaggregante

La duplice terapia antipiastrinica (DAPT) è diretta alla prevenzione della trombosi dello stent, dell’infarto del miocardio e dell’ictus. È una terapia standard dopo un intervento coronarico percutaneo e dopo una sindrome coronarica acuta. In Europa, si stima che circa 3.600.000 pazienti all’anno possano assumere una DAPT con queste due indicazioni.

La rivascolarizzazione con stent e gli antiaggreganti piastrinici

Gli stent con rilascio di farmaci sono stati introdotti per mitigare il rischio di restenosi. Tuttavia, i timori relativi alla trombosi tardiva dello stent, dopo l’impianto di dispositivi di prima generazione, hanno reso necessaria una DAPT a lungo termine.

D’altra parte, i rischi di trombosi tardiva dello stent sono diminuiti notevolmente dall’introduzione dei dispositivi di seconda generazione.

Infarto miocardico e doppia antiaggregazione piastrinica

Al contrario, tra i pazienti con sindrome coronarica acuta, il rischio di infarto miocardico al di fuori del segmento stentato rimane alto ben oltre i 12 mesi dopo la procedura di rivascolarizzazione. Il 20% dei pazienti con infarto miocardico che non hanno avuto eventi dopo il ​​primo anno, può incorrere in un grave evento cardiovascolare a distanza di 1-4 anni.

Inoltre, nei i pazienti con infarto miocardico e innalzamento del tratto ST (STEMI), oltre i 12 mesi dall’evento iniziale il rischio ischemia supera il rischio di sanguinamento.

Considerato che vi sono ormai molti studi che dimostrano come la DAPT assunta oltre l’anno riduce l’incidenza di ictus e di infarto del miocardio al di fuori del territorio rivascolarizzato, la DAPT prolungata potrebbe migliorare il bilancio clinico complessivo.

Lo studio

Questo nuovo studio di non inferiorità ha confrontato una DAPT assunta per 6 o 12 mesi in 1.100 pazienti con STEMI, sottoposti a rivascolarizzazione primaria con stent zotarolimus di seconda generazione.

Il follow-up si è protratto fino a 24 mesi dall’intervento di rivascolarizzazione.

L’endpoint primario era un composito di tutte le cause di mortalità, infarto miocardico, rivascolarizzazione, ictus e trombolisi per infarto del miocardio.

L’endpoint primario si è verificato nel 4,8% dei pazienti trattati con DAPT solo nei primi sei mesi, rispetto al 6,6% dei pazienti trattati con DAPT per 12 mesi (hazard ratio 0,73), soddisfando così il criterio di non inferiorità.

Una scelta difficile

Questi risultati dimostrano che ridurre a soli sei mesi la DAPT, e proseguire successivamente con un singolo farmaco antiaggregante, fornisce risultati clinici sostanzialmente equivalenti.

In base a questo e ad altri studi condotti per ricercare la lunghezza ideale del trattamento con DAPT, possiamo dire che la scelta è diventata più complessa che mai.

Le differenze nei risultati ottenuti in queste sperimentazioni riflette probabilmente la necessità di una decisione basata su molti parametri. Va considerata l’anatomia coronarica, agli aspetti procedurali, quali lunghezza e tipo dello stent, il sito di posizionamento dello stent, ma vanno valutati con attenzione anche il rischio emorragico il rischio cardiovascolare complessivo.

Con decisione salomonica le linee guida centrano ora le loro raccomandazioni sul periodo di un anno per la durata della DAPT, ma non è escluso che assisteremo in futuro ad un loro adeguamento, fondato su una più precisa personalizzazione del trattamento antiaggregante.

Non va infine dimenticato che rischio ischemico e rischio emorragico variano nel tempo, così come l’esposizione ad altri fattori di rischio cardiovascolare.

Un quadro certamente non facile da gestire, ma che grazie alla giusta attenzione clinica e alle procedure diagnostiche e terapeutiche oggi disponibili, può portare a sostanziali benefici per il paziente.

 

Franco Folino

 

 

Elvin Kedhi, et al. Six months versus 12 months dual antiplatelet therapy after drug-eluting stent implantation in ST-elevation myocardial infarction (DAPT-STEMI): randomised, multicentre, non-inferiority trial. BMJ 2018; 363.

 

 

 

 

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