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Prolasso mitralico: le aritmie ventricolari sono frequenti, ma raramente gravi

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Le aritmie ventricolari sono frequenti nei pazienti con prolasso mitralico, ma raramente sono gravi. Sono queste in estrema sintesi le conclusioni di un recente studio, pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology.

Il prolasso della valvola mitrale è una delle patologie di più comune riscontro in ambito cardiologico, tanto che ne è affetto circa il 2,4% della popolazione generale. Le persone con questa condizione riferiscono spesso episodi di cardiopalmo, più o meno accentuato, ma è a volte difficile definire con precisione il vero rischio aritmico di questi pazienti.

Anche se il prolasso mitralico è considerata una condizione benigna, non va comunque dimenticata la possibilità che in certi casi si possano verificare aritme ventricolari maligne, che possono portare a casi di morte improvvisa.

Prolasso mitralico e aritmie ventricolari: uno studio della Mayo Clinic

Un recente studio della Mayo Clinic di Rochester, in Minnesota, ha cercato di valutare la prevalenza, la gravità, il contesto fenotipico e l’impatto indipendente sull’outcome delle aritmie ventricolari rilevate nei pazienti con prolasso mitralico.

Lo studio ha incluso 595 pazienti con prolasso mitralico con un’età media di 65 anni. Il 47% circa di loro erano donne. Tutti sono stati sottoposti a ECG Holter e a ecocardiogramma con color-Doppler.

L’endpoint primario era la sopravvivenza globale e l’endpoint secondario era la sopravvivenza libera da eventi, in cui gli eventi erano mortalità, impianto di un ICD e una procedura di ablazione per tachicardia ventricolare.

Le aritmie ventricolari rilevate all’Holter sono state classificate in base alla loro quantità e in base alla frequenza delle tachicardie.

Prolasso mitralico e aritmie ventricolari: le caratteristiche della valvola

I risultati dello studio hanno evidenziato una presenza frequente di aritmie ventricolari nei pazienti studiati. Il 43% di loro aveva extrasistoli ventricolari > 5%. Nel 27% dei pazienti le aritmie ventricolari sono state moderate, con episodi di tachicardia ventricolare di frequenza compresa tra i 120 e i 179 bpm. In una minoranza di casi (9%) sono state rilevate tachicardie ventricolari con una frequenza ≥ 180 bpm.

Le aritme ventricolari sono state rilevate più frequentemente nei pazienti di genere maschile, in quelli con prolasso di entrambi i lembi valvolari e in quelli con una marcata ridondanza del lembo prolassante. Altre caratteristiche cliniche associate alla presenza di aritmie erano la disgiunzione anulare mitralica, dimensioni grandi di atrio sinistro e diametro sistolico ventricolare sinistro, inversione dell’onda T/depressione del segmento ST all’elettrocardiogramma.

Un’aritmia ventricolare è stata associata in modo indipendente alla presenza di ridondanza del lembo prolassante, disgiunzione anulare mitralica, inversione dell’onda T/depressione del segmento ST all’elettrocardiogramma.

Com’era atteso, la mortalità complessiva dopo la diagnosi di aritmia è risultata fortemente associata alla gravità dell’aritmia valutata, a otto anni, variando dal 10% nei pazienti con aritmie banali al 24% in quelli con aritmie classificate come gravi.

La presenza di un’aritmia grave era anche associata a tassi più elevati di impianto di defibrillatore, e ablazione di tachicardia ventricolare.

Prolasso mitralico e aritmie ventricolari: stratificare il rischio

Gli autori osservano che nella loro popolazione il riscontro di aritmie ventricolari all’Holter era un’evenienza piuttosto comune, ma raramente si è trattato di aritmie gravi. Sottolineano come alcuni parametri elettrocardiografici ed ecocardiografici possono identificare i pazienti maggiormente a rischio. Tra questi le alterazioni del tratto ST e dell’onda T, la presenza di una disgiunzione anulare mitralica e una marcata ridondanza del lembo prolassante. Alterazioni caratteristiche che vengono proposte come uno specifico fenotipo, indipendente dalla gravità dell’insufficienza valvolare.

I ricercatori concludono proponendo i loro risultati come la base per predisporre una nuova stratificazione del rischio nei pazienti con prolasso mitralico, da definire con nuovi studi controllati prospettici.

Oltre che indirizzare il clinico su specifici parametri in grado di stratificare il rischio in questi pazienti, lo studio ha il merito di richiamare l’attenzione su un problema da non sottovalutare: il potenziale aritmico del prolasso mitralico. Fenomeno con un’origine a volte confinata alla struttura valvolare, ma che ha spesso una patogenesi più complessa, legata ad una concomitante malattia del miocardio, di cui il prolasso è solo un epifenomeno.

 

Franco Folino

 

 

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