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Depressione, disturbi bipolari e altri peggioramenti della salute mentale come conseguenza alle alterazioni del ritmo circadiano

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La fisiologia e il comportamento dei mammiferi sono regolati da un orologio interno che stabilisce il ritmo circadiano. Questo sistema di cronometraggio ha un’organizzazione gerarchica composta prima di tutto dal nucleo soprachiasmatico (SCN), localizzato nell’ipotalamo, che funge da timer principale, affiancato nel suo funzionamento da altri orologi locali, situati in atre aree del sistema nervoso e in organi periferici.

In condizioni normali, questi orologi circadiani sono guidati dal ciclo di luce e oscurità, in modo da consentire all’organismo di anticipare, e quindi adattarsi, al giorno e alla notte.

Il nucleo soprachiasmatico riceve segnali afferenti diretti dalle cellule gangliari specializzate della retina che regolano il ritmo dell’orologio in base alle condizioni di luce. In questa sede si genera quindi il ritmo circadiano, sincronizzato con il tempo solare e viene successivamente diffuso, attraverso percorsi neurali, comportamentali ed endocrini, a tutto il corpo, coordinando i più comuni aspetti delle funzioni quotidiane. Va peraltro sottolineato che anche in assenza di segnali provenienti dalla retina il sistema nervoso può generare autonomamente il ritmo giornaliero. L’innervazione retinica serve unicamente a sincronizzare l’oscillatore circadiano, non a sostenerlo.

Gli effetti guidati dall’oscillatore primario sono molto diffusi, coinvolgendo processi metabolici vitali come il metabolismo dell’azoto epatico, la gluconeogenesi, la funzione cardiovascolare e quella renale, con una efficiente ottimizzazione delle prestazioni metaboliche dell’organismo.

La perturbazione di questo ritmo quotidiano, facilmente sperimentabile spostandosi in aereo tra differenti fusi orari, ma anche svolgendo turni lavorativi notturni, può avere effetti gravemente deleteri per la funzione mentale e per la salute a lungo termine.

A darne conferma sono un gruppo di ricercatori dell’Università di Glasgow, con un recente articolo pubblicato su The Lancet Psychiatry.

Lo studio ha esaminato le associazioni tra ritmicità circadiana, valutata oggettivamente, e fenotipi della salute mentale e del benessere, inclusi i disturbi dell’umore.

La sperimentazione è stata condotta sui dati disponibili in un vasto database sanitario del Regno Unito, in cui nel periodo 2006-2010 erano stati inseriti soggetti di età compresa tra i 37 e 73 anni. I 91.105 partecipanti considerati nell’analisi finale indossavano un accelerometro da polso, per 7 giorni, per la valutazione del loro livello di attività. Da questi dati, è stata derivata una variabile di ampiezza relativa circadiana, un valore che rispecchia la misura in cui la ritmicità circadiana dei cicli di riposo è interrotta.

I risultati hanno evidenziato come la riduzione di un quintile dell’ampiezza relativa circadiana si associava ad un aumento del rischio per disturbi depressivi maggiori, disturbi bipolari, instabilità dell’umore, nonché a più elevati punteggi di nevrosi, maggiore suscettibilità alla solitudine, minore felicità, minore soddisfazione per la salute e tempi di reazione più lenti.

Grazie all’analisi condotta su una popolazione così vasta, e all’utilizzo di metodi accurati, questo studio è stato in grado di determinare l’influenza delle alterazioni del ritmo circadiano in differenti aree, confermando in modo inequivocabile gli effetti negativi sulla salute mentale e sul benessere delle alterazioni del ritmo circadiano. Va sottolineato come queste perturbazioni nei ritmi giornalieri possono indurre anche malattie particolarmente rilevanti, come il disturbo depressivo maggiore e il disturbo bipolare.

Quanto evidenziato nella presente analisi non esclude peraltro che anche alterazioni minori del ritmo circadiano possano comunque influire negativamente sulla salute.

 

Cover image volume 5, Issue 5

 

Laura M Lyall, et al. Association of disrupted circadian rhythmicity with mood disorders, subjective wellbeing, and cognitive function: a cross-sectional study of 91 105 participants from the UK Biobank. The Lancet Psychiatry, pubblicato online 15 maggio 2018.

 

 

 

 

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